«Manovra positiva per le famiglie, ma l’equità fiscale resta un miraggio»

Per Francesco Belletti (Cisf) le misure annunciate dal governo sono «un passo nella direzione giusta» anche se «piccolo». Mentre «preoccupa l’ennesimo finanziamento in deficit»

I tre leader della maggioranza Giorgia Meloni, Antonio Tajani e Matteo Salvini alla conferenza stampa di presentazione della legge di bilancio 2024, 16 ottobre 2023 (foto Ansa)

La famiglia «non è una “lobby” da difendere», ma una risorsa per la società. Che merita molto di più delle novità, pur «indubbiamente positive», contenute nella manovra di fine anno. A dare questa valutazione delle misure annunciate dall’esecutivo nella legge di bilancio è Francesco Belletti, direttore del Centro internazionale studi famiglia (Cisf), che a Tempi ricorda la parola chiave quando si valutano le politiche familiari: «Equità». Ed è proprio da qui che parte per giudicare una manovra da 23 miliardi, «di cui uno per le famiglie, e per due terzi finanziata in extra deficit», osserva. Una manovra che fa del taglio del cuneo fiscale il suo simbolo (a conti fatti potrebbero essere 100 euro in più in busta paga per chi ha redditi medio-bassi), insieme alla riduzione delle aliquote Irpef da quattro a tre; e dove spiccano, per i nuclei familiari, tre misure in particolare: il rafforzamento dell’assegno unico e universale per il terzo figlio, il rafforzamento del bonus asili nido, aumentando il fondo di 150 milioni, la decontribuzione per le mamme con due figli (fino a dieci anni) che diventa permanente per quelle che ne hanno tre (fino ai 18 anni del più piccolo). Senza dimenticare il fringe benefit strutturale a 2.000 euro per i lavoratori con figli (mille euro per tutti gli altri).

Qual è la sua prima impressione?

La manovra è indubbiamente riuscita a mantenere tra le priorità la tutela delle famiglie e l’attenzione alla natalità. E questo è un dato positivo. Poi, si potrebbe discutere di quanto congrue siano le risorse destinate, così come le singole scelte adottate, oppure di quello che ancora manca. Ma nel complesso, un miliardo di risorse per la famiglia non può che rappresentare un segnale di attenzione, specie per le mamme, le famiglie con due o tre figli e chi li ha all’asilo nido: misure che, insieme alla progettualità del Pnrr, vanno nella giusta direzione. Senza dimenticare che anche altre misure della manovra che non rientrano in senso stretto nel perimetro di questo miliardo – penso alla riduzione del cuneo fiscale o agli incentivi per l’occupazione giovanile – sostengono comunque le famiglie, pur non essendo propriamente “politiche familiari”.

Quanto siamo distanti dall’ideale di riferimento rappresentato dal Quoziente familiare?

Nessun passo indietro, ma un piccolo passo nella giusta direzione. Da questo punto di vista, il grande assente continua, di fatto, ad essere la dimensione della fiscalità nel suo complesso, che è l’altra gamba strategica su cui le politiche familiari possono sostenersi. Mi spiego: se le politiche pubbliche non affrontano il nodo dell’equità fiscale nei confronti della famiglia, nessun intervento a sostegno riuscirà mai a riequilibrare realmente la fatica di mettere al mondo un figlio, i costi del suo allevamento, l’impegno progettuale che la sua educazione richiede e che, in qualche modo, continuano a rappresentare uno svantaggio competitivo per chi ha famiglia con figli nei confronti di lavoratori che non hanno carichi familiari. Non dimentichiamoci che quando un giovane uomo o una giovane donna decidono di investire sulla cura di un figlio, scelgono di avere, per 25 anni, un altro centro di riferimento, una struttura differente di priorità economiche, un time budget molto più risicato. Aspetti che, oltretutto, sarebbero di per sé sufficienti a chiamare in causa anche una riflessione più approfondita del welfare aziendale, ben oltre il tema dei fringe benefit. Ma questo è un altro discorso.

Insomma, non si tratta solamente di incentivare la natalità, ma di garantire giustizia, così come costituzionalmente intesa, nei confronti della famiglia?

Le politiche fiscali per la famiglia sono una questione di equità costituzionale e questo, purtroppo, è un concetto che sembra ormai essere sfuggito al dibattito pubblico, ma non è una novità. La nostra Costituzione lo ribadisce in più punti, sottolineando diritti e doveri, responsabilità e oneri di accudimento a cui dovrebbero corrispondere dei sostegni: l’articolo 29 riconosce la famiglia come società naturale su cui si organizza la vita della società, l’articolo 31 impone allo Stato di sostenere, anche economicamente, la formazione delle famiglie, in particolare di quelle numerose, e l’articolo 36 stabilisce che la retribuzione del lavoratore deve essere non solo proporzionata alla sua prestazione, ma anche in grado di garantire condizioni di dignità alla sua famiglia. Il tema della famiglia, insomma, è fondativo del nostro vivere civile e per questo motivo diritto costituzionalmente garantito, nonché questione di equità. Ed è scandaloso che, invece, in Italia, chi mette al mondo un figlio rischia ancora oggi di ritrovarsi sotto la soglia di povertà.

Quanto incide, nella sua valutazione della manovra, l’impatto sui conti pubblici?

Purtroppo si conferma che un peso come il debito pubblico, così scelleratamente aumentato, è comunque una criticità che tutti pagano: 100 miliardi di euro all’anno di interessi sul debito sono 100 miliardi in meno da investire nella sanità, nella scuola, nella giustizia e anche nelle politiche familiari. Occorrerebbe adottare una policy intenzionale di riduzione del debito pubblico e questo diventerebbe, quasi di per sé, una policy familiare, migliorando i conti per il futuro e liberando risorse da subito. Apprendiamo, invece, che anche questa manovra è finanziata in deficit per 14-15 miliardi di euro, cosa che, è noto, l’Unione Europea vorrebbe che evitassimo. Ma non dobbiamo ridurre il debito perché ce lo chiede l’Europa: dobbiamo farlo perché se proseguiamo, come paese, con una zavorra di questo tipo sulle spalle, sarà sempre più difficile reperire risorse nella contabilità pubblica. Non solo per la famiglia. Questo fatto, peraltro, ci ricorda che la famiglia non è una “lobby” da difendere, ma un punto di vista da cui partire per verificare la bontà delle politiche pubbliche.

Exit mobile version