Mantovano: «Governo stabile ed europeista, la solidarietà dell’Albania un esempio per tutti»

Intervenuto al forum di Stresa della Fondazione Iniziativa Europa, il sottosegretario risponde alle domande di Tempi su Ue, Israele e migranti. E su Indi Gregory dice: «Vale la pena di impegnarsi per farla curare»

Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano (foto Ansa)

La stabilità dell’esecutivo ha dato prospettive solide all’azione di Giorgia Meloni, e permesso all’Italia di avere un nuovo posizionamento sullo scacchiere internazionale, più importante e decisivo. Ospite del forum “L’Europa rapita: dove ritrovarla”, promosso a Stresa dalla Fondazione Iniziativa Europa, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha risposto alle domande di Tempi tratteggiando il nuovo profilo che, secondo lui, l’esecutivo di centrodestra è riuscito a costruire in un anno di governo.

Abituati alla cronica instabilità italiana degli ultimi anni, «nei primi incontri internazionali i leader degli altri paesi guardavano Giorgia Meloni chiedendosi: “Tra sei mesi sarà ancora lei il presidente del Consiglio?”. Il fatto che l’esecutivo sia stabile, e trasmetta una prospettiva di stabilità, permette di costruire politiche che guardano lontano», ha detto Mantovano in collegamento da Palazzo Chigi, sottolineando come il governo «senza mettere in discussione l’europeismo evita però di seguire supinamente l’ordine del giorno che, secondo un’ottica dirigista che non condividiamo, dovrebbe sempre essere calato dall’alto».

Mantovano: «Governo apripista con gli Stati africani»

Un esempio? «Il fatto che l’immigrazione sia un tema di cui si discute sempre di più nei consigli europei e su cui si cerca di trovare soluzioni concrete – anche se coi tempi europei – è anche merito dell’Italia». Italia che sta acquisendo un ruolo di interlocutore apripista con molti Stati africani: «I governi di questi paesi vedono in Giorgia Meloni un partner con il quale stabilire non soltanto relazioni stabili ma anche relazioni che coinvolgano altri partner internazionali. In quest’ottica l’avvio del piano Mattei ha il senso di mettere in collegamento in modo più coordinato le istituzioni europee con i paesi africani con cui si possono immaginare piani di sviluppo».

E se in Europa la voce dell’Italia è tornata a farsi sentire in modo deciso, nel consesso internazionale il ruolo di Giorgia Meloni è diventato sempre più importante, fino al paradosso di essere considerata, lei premier di un governo di destra, un’alleata tra i più affidabili dal presidente americano Joe Biden, soprattutto riguardo alle due guerre in corso, in Israele e Ucaina. Per esemplificarlo Mantovano ha scelto di raccontare «una giornata di lavoro della Meloni, quella del 21 ottobre. Al mattino di quel giorno era al Cairo, all’incontro delle nazioni arabe dopo l’attacco di Hamas a Israele. Unica leader di uno stato del G7 ad avere incontrato nell’immediatezza della crisi i leader degli stati arabi, lo stesso giorno Meloni si è recata a Tel Aviv e ha incontrato il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Cosa significa questo? Che nella assoluta e più volte ribadita solidarietà a Israele, il governo italiano sta facendo tutti gli sforzi per cogliere la portata di questa guerra terribile».

Le azioni concrete del governo in Medio Oriente e Ucraina

Una guerra che, sottolinea il sottosegretario, nelle intenzioni di Hamas e di chi lo sostiene non ha come obiettivo soltanto Israele, ma anche i paesi arabi che con Israele avevano iniziato una complicata strada di accordi e riappacificazione, ed è anche una partita per l’egemonia jihadista nel Medio Oriente con le ricadute che tutto questo può avere nel resto del mondo. «In questa situazione l’Italia svolge un ruolo importante, interloquendo con gli altri paesi del G7, sentendo i leader delle altre nazioni, ma svolgendo anche attività concrete: è prossima a partire una nave con medici e personale ospedaliero che si fermerà davanti a Gaza, e sono in corso trattative per aprire un ospedale sui confini della Striscia».

Azioni che hanno un senso concreto e uno simbolico, dice Mantovano, «come quello che continuiamo a fare in Ucraina, dove c’è un conflitto che sembra essere molto ridimensionato nell’attenzione mediatica, con il metodo del doppio binario: fedeltà all’alleanza militare con Kiev e aiuto alla popolazione civile – cito ad esempio il piano di ricostruzione della cattedrale di Odessa e di altri edificii civili affidato ad archietti italiani e coordinato da due ministeri». E naturalmente, conclude il ragionamento Mantovano, «l’Italia dà un contributo di idee e proposte per la pacificazione, per quanto intricata sia».

«Collaborazione sui migranti con l’Albania in linea con l’Europa»

Il premier albanese Edi Rama, commentando l’accordo appena concluso con l’Italia per la gestione dei migranti nel suo paese, ha parlato di una Giorgia Meloni “frustrata da Bruxelles”. «Il termine non è il più adatto a qualificare il protocollo firmato», chiosa il sottosegretario, «che tra l’altro si inserisce in un accordo internazionale sottoscritto già da tempo tra Italia e Albania. Volgiamolo in positivo: si tratta di una modalità di collaborazione tra paesi che aspirano a entrare nell’Ue e altri che già ne fanno parte che anticipa quella solidarietà che adesso, per paradosso, si trova tra chi sta dentro e chi sta fuori e che può essere un esempio per i rapporti tra gli stati membri».

È una solidarietà in linea con ciò che nel corso degli anni si è detto sull’opportunità di aprire hotspot nei paesi di transito come Tunisia e Libia, fa notare Mantovano, stupito da molte critiche. «È un contributo dell’Albania all’alleggerimento dell’impatto migratorio che subisce l’Italia, fatto nell’assoluto rispetto delle convenzioni internazionali, con disposizioni concordate che garantiranno la giurisdizione italiana all’interno del centro al momento dello sbarco con tutti gli strumenti di impugnativa che esistono sul territorio nazionale: non è niente di stravolgente rispetto alle procedure già in essere, semmai è una dimostrazione di vicinanza dell’Albania e una possibilità di essere meno congestionati nell’accoglienza e nella trattazione delle domande di asilo».

Mantovano: «Indy Gregory merita di essere curata»

Mentre Mantovano parlava, l’appello dei genitori di Indi Gregory per impedire il distacco delle macchine che la tengono in vita è stato rifiutato dai giudici inglesi, che hanno fissato il termine per il distacco dei supporti vitali a lunedì. Impossibile non chiedere a Mantovano della scelta del Cdm di concedere la cittadinanza italiana a Indi, e in generale se valga la pena per il governo portare avanti battaglie così poco mainstream come quelle per la vita, natalità, contro l’utero in affitto…

«Se non vale la pena fare queste battaglie, per che cosa vale la pena impegnarsi? Abbiamo visto tutti il video della piccola Indi Gregory mentre stringe il dito della persona che ha davanti, e che dimostra che la bambina è viva e vitale, non è un tronco. Certo, è una disabile grave, ha una malattia molto seria che merita di essere curata e non stroncata. Non so che dati avesse a disposizione chi ha parlato di “accanimento terapeutico”. La nostra valutazione è che per noi ogni vita umana, specialmente quelle che hanno maggiori condizioni di disagio, deve essere posta al centro dell’attenzione di tutti. Questo ha delle ricadute concrete, come si è visto nella prima legge di bilancio e nel disegno di legge di bilancio all’esame del Parlamento, ma lo ha anche nella considerazione della singola persona, perché nella nostra civiltà – e non è un discorso di retroguardia, ma di prospettiva – al centro c’è la persona».

«Perché la natalità è al centro del programma di governo»

Mantovano ha concluso il suo intervento richiamando un’immagine della tradizione pittorica nota a molti e ripresa da tanti artisti nel corso dei secoli, la fuga di Enea da Troia in fiamme. «Enea ha sulle spalle il padre Anchise, il che vuol dire che gli anziani non sono roba da lasciare dietro di sé come vorrebbe certa ideologia oggi egemone, e con l’altra mano tiene il figlio Ascanio. La figura più importante è quella del figlio: nel rispetto della tradizione, il padre, consente di guardare al futuro. E il futuro di Enea è la costruzione di quella civiltà che poi ha informato di sé non soltanto la nostra nazione ma l’intero territorio europeo e continua a esercitare influssi anche paesi nati da europei. Questo è il nostro orizzonte ideale: qualificatelo come meglio ritenete, ma si fonda su un bambino che dà l’idea del futuro. La natalità, mettere al mondo un bambino, è guardare con speranza al futuro, per questo è al centro del nostro programma».

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