
Trump che rovina cose
Il manuale definitivo dell’abominazione per Trump
Ordine di servizio per tutti i valorosi combattenti dell’informazione che resistono all'”America di Trump”: comprare Repubblica oggi e incorniciare. Anzi leggere, rileggere, imparare a memoria. Ma come farebbe questo blog a esistere senza Repubblica? Senza Repubblica come faremmo a scoprire tutte le cose che Trump è riuscito a rovinare in un batter d’occhio? Grazie Repubblica. Grazie Michele Serra. Grazie Marco Belpoliti. Grazie grazie grazie grazie grazie grazie e ancora grazie. E mortacci a Trump.
Amici che come noi abominate Trump, leggete il Michele Serra di oggi. Ammirate la sua “Amaca” in prima pagina, copiatela, diffondetela. Studiatela con accanimento, se anche voi, come noi, sognate un giorno di riempire un articolo di stereotipi a dir poco dozzinali e di uscirne ugualmente come eroici paladini della democrazia. Bastona Serra: «Il vecchio Donald e il vecchio carbone: riuscite a immaginare un binomio più primitivo, più reazionario, più anacronistico?». Ma certo che no, oh grande Michele! Colpiscilo, Michele, rovesciagli addosso ancora un poco del disdegno che merita, questo disgraziato di un Trump, anzi «questo signore»!
E Serra non si tira mica indietro. Continua, implacabile. Si mette nei panni di Trump e rappresenta perfettamente il suo stupidissimo pensiero, il suo «ottuso monumento al passato». «Manca la locomotiva che avanza, come nei western, affumicando la prateria, e il quadro sarebbe perfetto». E ancora: «Ah, la vecchia America che andava a carbonella, sparava al bisonte e teneva i negri al loro posto!». Daje Miché, diglielo che tra l’altro il Trump-che-rovina-l’ambiente è anche nemico dei poveri, perché «se l’aria puzza troppo» «i ricchi vanno ad Aspen o sulle Alpi», mentre «a pagare il prezzo dell’inquinamento e dei mutamenti climatici, come è accaduto a New Orleans, sarà sempre la povera gente». Diglielo che l’urgano Katrina un po’ è anche colpa di Trump. Non sa fare neanche il populista, ‘sto plebeo.
* * *
Ma forse la paginona di Belpoliti è perfino meglio di Serra, cari odiatori di Trump. Un pezzo da Pulitzer del pregiudizio, da Oscar alla superiorità di specie, da Nobel per la bava alla bocca (ma bava profumata). Già solo per il fatto che sia rubricato come “L’America di Trump” a noi ci fa godere un sacco (grazie Repubblica, grazie davvero). Ma è tutto l’insieme di foto, titoli, testo e disprezzo che andrebbe impresso nell’eternità. Peccato non poterlo riprodurre qui così com’è. Ne offriamo qualche assaggio di seguito perché se ne può ricavare uno splendido manuale della denunzia anti-Trump.
Come inchiodare “l’America di Trump” alla sua stessa turpitudine (virgolettati di Belpoliti)
1. Selezionare una foto in cui Trump firma un ordine esecutivo circondato da «un gruppo di soli uomini» e dire che «senza dubbio» si tratta di «un messaggio evidente», «una forma di machismo» per un poveretto che «identifica la sua personalità con l’universo maschile».
2. Notare che i «soli uomini» sono «tutti plaudenti», aggiungere che sono «tutti in abiti sportivi» e fingere di individuarne «uno solo in giacca e cravatta». Lasciare da parte la retorica dell’informalità che un tempo ci piaceva tanto perché faceva tanto giovane, e cavarsela con una battuta salace tipo: «Farà caldo a Washington?».
3. Sottolineare, mi raccomando, che i «soli uomini» sono anche «tutti bianchi». E che «ben diversi» erano «i gruppi umani che circondavano Obama». Usare proprio l’espressione «gruppi umani» perché la nostra ripugnanza verso Trump non è solo politica ma antropologica. Obama aveva «donne, ragazzi, bambini, neri, latinoamericani». Trump solo vecchi maschi bianchi. E carbone.
4. Osservare che nelle «espressioni facciali che assume Trump (…) non c’è mai gioia, non traspare contentezza, non comunica qualche forma di empatia con gli astanti», che è il modo di noi giovani per dire che è pure un po’ carognetta.
5. Cercando di mantenere un tono serioso, sfotterlo perché fa «il viso indurito» ma «non comunica forza, decisione, risolutezza, durezza. Ci prova, ma non gli riesce».
6. Collegare il suo fallimento come macho al «bisogno di rafforzare il proprio messaggio con la presenza della corona dei maschi bianchi». Il lettore adeguatamente democratizzato coglierà il sottotesto sessista e invece di indignarsi si ecciterà. Passare al punto successivo.
7. A questo punto deridere Trump anche per la sua misera «carica erotica», buttando là l’ipotesi che la sua «fama di seduttore e sciupafemmine» non sia «per nulla certa». Evidenziare con spregio del ridicolo quanto segue: «Ben diverso è l’eros che emana da Obama. Non è solo questione d’età, bensì di postura, di gesti, di movimenti, del corpo». Valutare se aggiungere gag su dimensioni del pene e altre amenità.
8. Prendersela infine con «il gruppo degli uomini» della foto e sminuirli senza pietà come «visi anonimi, quasi figuranti», «everyman», gentaglia senza valore. Disprezzarli come «i preferiti da Trump» in quanto assolute nullità: non sono «uomini troppo belli o appariscenti», sono privi «una personalità propria», «solo Yesman».
9. Dire che la presenza delle donne non è mai gradita a Trump «se non è quella dell’accompagnatrice di turno». Senza offesa per le accompagnatrici, naturalmente.
10. Meditare pensosamente che «è come se i neri, i latinoamericani, i nativi, gli asiatici, cioè tutta la popolazione che abita il paese che dirige, fosse scomparsa di colpo». Descrivere l’America di Trump come «un’America Wasp, molto conformista nello stile e nell’abbigliamento», «un paese di trenta o quaranta anni fa» che sembra essersi «selezionato sulla base di una caratteristica razziale».
11. La prossima volta che Trump fa una foto con una persona di pelle nera, dire che sì, va bene, è uno di colore, ma sembra un uomo abbronzato qualunque.
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