Marco d’Europa. La grazia e il potere

Un libro indaga la figura del frate cappuccino d’Aviano spiegando che non era affatto un ingenuo idealista o un sognatore nostalgico del Medio Evo

Non è soltanto un contributo alla conoscenza dell’opera e del pensiero del beato padre Marco d’Aviano, il frate cappuccino che seppe tessere l’accordo fra le potenze europee che permise di liberare Vienna dall’assedio degli Ottomani nel 1683, ma una vera e propria immersione nelle profondità del Seicento sotto l’aspetto politico, religioso, militare e artistico.

Marco d’Europa. La grazia e il potere. Studi su padre Marco d’Aviano e un’immagine della liberazione di Vienna è un volume insolito e sorprendente, una miscela di saggi storiografici debordanti di note, documenti storici tradotti per la prima volta in italiano, riproduzioni di affascinanti opere d’arte (dipinti e stampe) e di mappe dell’epoca. La copertina è flessibile e in formato A4, ma l’interno in sontuosa carta patinata restituisce al meglio forme e colori di decine di pitture, stampe e cartine geografiche che impreziosiscono i nove contributi scritti di cui è composto. Che vanno, solo per citarne alcuni, da L’Europa “cristiana” di padre Marco d’Aviano di Giordano Brunettin alla traduzione italiana del Diario del principe Giacomo Sobieski, da La taumaturgia di padre Marco d’Aviano: analisi dei documenti epistolari di Andrea Menegoz a Principe senza titoli. Giacomo Sobieski dalla liberazione di Vienna al trono mancato di Margherita Agostini.

La storia del quadro

In apertura ci sono due saggi che riguardano l’immagine riprodotta in copertina: un dipinto di Johann Melchior Roos, pittore barocco tedesco, che raffigura padre Marco d’Aviano fra alcuni protagonisti della battaglia di Vienna: Carlo V di Lorena, comandante dell’esercito imperiale, il morente Stanislao Potocki, un nobile polacco che fu una delle vittime eccellenti della battaglia dell’11-12 settembre nel fronte cristiano, e il giovanissimo principe Giacomo Sobieski, che accompagnò il padre Giovanni Sobieski re di Polonia, il condottiero che mise in fuga le armate ottomane. La scena si svolge presso l’espugnata tenda del gran visir dell’armata ottomana Kara Mustafa.

Il quadro ha avuto un ruolo decisivo nella genesi del libro, come spiega nell’introduzione Roberto Castenetto, presidente del Centro culturale Augusto Del Noce di Pordenone. È stato acquistato a un’asta dal Centro culturale Augusto Del Noce – con l’aiuto dell’Associazione di promozione sociale Cintamani, del Centro Studi Odoriciani e del Comitato Beato Marco d’Aviano di Pordenone – che ne aveva intuito i rimandi storici, fino a quel momento inesplicati: per chi lo ha venduto, il quadro rappresentava semplicemente un cavaliere ferito sorretto da due frati cappuccini mentre giunge in visita un personaggio di alto lignaggio a cavallo. Attorno all’opera, che è stata esposta in varie località del Friuli Venezia Giulia, è nato un “Progetto culturale Marco d’Europa” di cui il libro, che in copertina porta i nomi di Margherita Agostini, Walter Arzaretti, Giordano Brunettin e Roberto Castenetto, è una delle tappe più importanti.

Europa cristiana tra virgolette

Ce n’è per tutti i gusti nelle 285 pagine del volume: la disamina del sarmatismo, cioè lo stile di vita, la cultura e l’ideologia della nobiltà polacca del tempo di re Sobieski; l’approfondimento della teologia di Marco d’Aviano, qualificata come “fides cogitata”; la cronaca dei giorni immediatamente precedenti la battaglia dell’11-12 settembre dal punto di vista dello schieramento cristiano; le missioni diplomatiche affidate ai frati cappuccini dai papi dell’epoca, ecc.

Non manca però un giudizio sintetico e assertivo sull’Europa cristiana fra virgolette (come nel saggio di Brunettin) dell’epoca di Marco d’Aviano, originale e controcorrente rispetto a una certa agiografia della battaglia di Vienna che salvò probabilmente l’Europa centrale (e non solo quella) dalla islamizzazione ottomana. In sostanza, Marco d’Aviano, su mandato di papa Innocenzo XI, esorta e media fra le potenze dell’epoca e partecipa alle campagne militari del Sacro Romano Impero contro i turchi per salvare la cristianità già in crisi d’identità, ma il successo sul campo di battaglia non conduce a una riforma dei regni cristiani sotto forma di respublica fidelium, come avrebbero voluto papa Innocenzo e il carismatico cappuccino: l’assolutismo, la Ragion di Stato, la filosofia della doppia verità di averroista memoria rigettata dal califfato ma fatta propria dalle corti europee cristiane dell’epoca hanno già svuotato dall’interno il senso della cristianità.

Il cristianesimo, la Chiesa e la religione sono ormai instrumenta regni che si mettono in campo a seconda della necessità. Per cui può capitare che il cattolicissimo Luigi XIV (il francese re Sole) treschi a favore dei turchi contro l’altrettanto cattolico imperatore asburgico Leopoldo, o che gli imperatori cattolici si alleino con principi protestanti contro principi cattolici loro avversari.

La Lega Santa

Marco d’Aviano si trova a vivere una congiuntura eccezionale: frate predicatore apprezzato ma non particolarmente noto al di là dei confini della Repubblica di Venezia, sale agli onori delle cronache quando nel 1676, all’età di 45 anni, viene mandato a predicare a Padova, e qui una suora malata cronica chiede la sua benedizione, alla quale segue una prodigiosa guarigione.

Altri miracoli dello stesso genere gli vengono attributi in una successiva missione a Venezia. Da quel momento diventa famoso in tutta Europa e viene chiamato ovunque, da Salisburgo a Costanza, da Budapest ad Anversa, e quindi a Vienna, dove l’imperatore Leopoldo afferma di essere stato guarito tre volte da lui. Diventa suo consigliere spirituale, politico e militare su richiesta esplicita del papa. Inizia l’opera di tessitura di una nuova Lega Santa, che combatterà i turchi non solo a Vienna ma anche dopo per sedici anni, fino al trattato di pace di Carlowitz del 1699 (l’anno della morte di padre Marco).

Riforma spirituale

Il cappuccino non era affatto un ingenuo idealista o un sognatore nostalgico del Medio Evo. Aveva chiarissima la realtà religiosa e politica del suo secolo. Basti dire che, nonostante la voce popolare che lo voleva santo subito, la sua causa di canonizzazione rimase ferma per decenni per il veto dei re francesi, che lo consideravano un avversario politico per la sua vicinanza agli Asburgo (è stato beatificato soltanto nel 2003 da Giovanni Paolo II).

Nelle sue lettere all’imperatore traspare l’anelito alla giustizia sociale secondo il Vangelo: «Che si levino quelli disordini dell’ingiustizie con estremo danno de poveri innocenti, che gridano vendetta al cospetto di Dio, vedendo il loro sangue scialacquare nelle laute mense, nelle pompe esorbitanti, nelle bestie, cani e cavalli et in altre vanità e superfluità». E a una riforma spirituale e politica pensata come ascesi e preghiera rivolte a Dio: «Gridano le anime e le povere persone oppresse, dimandano giustizia a Dio vedendo che li viene negata nel mondo; e poi ne succede che Iddio continua contro di noi li suoi castighi, facendo che le cose vadino male e che gl’inimici della christianità trionfino. Iddio però, che vuole la destrutione del peccato ma non già la morte del peccatore, quando una volta si farà da vero e si verrà alli rimedi proprii, collocandosi poi in Dio tutte le speranze, si potrà sperare, essendo Egli misericordiosissimo, che ci guarderà con gl’occhi della sua pietà e ci concederà quelle grazie tanto sospirate da tutta la christianità».

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