In Canada la marijuana libera manda in fumo miliardi di dollari

Di Caterina Giojelli
21 Aprile 2021
Serre chiuse, licenziamenti, la concorrenza del Messico. Dalla legalizzazione dell'erba voluta da Trudeau la maggioranza dei produttori continua a segnalare perdite impressionanti. E il mercato nero ringrazia
Marijuana, la marcia globale a Vancouver, in Canada, nel 2013

Quando il 31 marzo lo stato di New York ha deciso di accodarsi agli altri 14 stati americani legalizzando l’uso di marijuana a scopo ricreativo, gli antiproibizionisti nostrani sono tornati a strombazzare i refrain: quello della cannabis è un mercato che vale 1/3 della manovra finanziaria, potrebbe sanare la crisi occupazionale del paese, creerebbe 345 mila posti di lavoro, controllerebbe i consumatori con prodotti di qualità e certificati, sottrarrebbe introiti statali alla malavita (queste in sintesi le argomentazioni di attivisti di Cannabis For Future – sic – scesi in piazza il 20 aprile).

Un’idea trita e ritrita sostenuta qualche mese fa da parlamentari italiani e francesi convinti di poter curare l’economia post Covid con le canne libere. Un’idea che non funzionalo abbiamo scritto tante volte –: nei paesi modello più citati, Stati Uniti e Canada, il business dell’oro verde si è trasformato in una voragine (35 miliardi di dollari andati in fumo), il racket prospera per effetto della decriminilizzazione e della tassazione, il mercato nero ringrazia. Prima del Covid l’Oregon aveva già denunciato scorte sufficienti per i sei anni a venire e nei magazzini canadesi c’era già marijuana per soddisfare quasi due anni e mezzo della domanda registrata. E la situazione promette di peggiorare.

Le serre abbandonate

Siamo in Ontario, contea di South Huron, il sindaco di Exeter non vedeva l’ora di registrare l’agognato boom di nuova occupazione quando un produttore di marijuana decise di acquistare tre anni fa un’enorme serra ai margini della città. L’acquisto

«prometteva di rendere la sua vasta comunità un importante hub per quella che quella che sembrava la prossima grande industria in crescita del Canada: erba legale e posti di lavoro ben pagati. Ma prima che uno solo dei circa 200 posti di lavoro previsti venisse assegnato – o prima che un solo seme di marijuana venisse seminato – divenne evidente che il Canada stava già coltivando molta più marijuana di quanta ne richiedesse il mercato».

Lo scrive il New York Times: dopo due anni di inattività la serra è stata venduta l’anno scorso per un terzo del valore d’acquisto (circa 21 milioni di dollari americani). Eh sì che «non vedevamo l’ora», ha spiegato il sindaco George Finch. «Sembrava quasi troppo bello, eh? È un peccato. Potrebbe essere riconvertito alla coltivazione degli ortaggi».

La corsa all’oro verde

Quando Trudeau decise di legalizzare pienamente la marijuana nel 2018 per creare un sistema “più equo” la corsa all’oro verde travolse la Borsa di Toronto, le aziende si buttarono a capofitto nel business ristrutturando e acquistando a caro prezzo serre abbandonate, in tutto il paese spuntarono come funghi coltivazioni indoor, perfino i media che stavano tagliando il personale, scrive il Nyt, hanno assunto giornalisti per seguire sviluppi e storie legate alla marijuana, la nuova “plastica” celebrata ne Il laureato («Voglio dirti solo una parola: plastica. L’avvenire del mondo è nella plastica, pensaci. Ci penserai?», suggeriva l’amico di famiglia a Dustin Hoffman nel film del 1967).

Di cosa accadde dopo si è molto scritto: bolla speculativa, in un anno i titoli dei cinque più grandi gruppi del settore, tutti basati in Canada, persero quasi il 70 per cento. E a due anni e mezzo dalla legalizzazione, la maggior parte dei produttori di marijuana in Canada continua a segnalare perdite impressionanti:

«Canopy Growth, il più grande produttore del paese, ha perso 1,2 miliardi di dollari canadesi (950 milioni di dollari), nei primi nove mesi dell’attuale anno di esercizio. I licenziamenti hanno invaso l’industria. I grandi produttori si sono fusi nel tentativo di ritrovare forza nelle dimensioni. Si sono spente per sempre le luci di moltissime serre in diverse province».

Nessun sistema più equo

In altre parole non c’è stato nessun effetto vendita di liquori dopo la fine del proibizionismo: «Tutti pensavano che in Canada il settore si sarebbe mosso di più e più velocemente, e questo non è successo», ha detto Brendan Kennedy, ceo di Tilray, uno dei principali coltivatori con sede nella British Columbia, che lo scorso anno ha perso 272 milioni di dollari e ha annunciato la fusione con Aphria, in Ontario. Non solo: il mese scorso il Messico ha legalizzato la marijuana a scopo ricreativo, costringendo i produttori canadesi a ragionare sull’entrata nel mercato di un competitor forte di un costo del lavoro più basso e condizioni climatiche più favorevoli.

Di fatto la corsa all’oro verde non ha realizzato alcun sistema più equo: se da un lato è stato depenalizzato il possesso di marijuana, dall’altro i piccoli produttori delle comunità minoritarie o emarginate sono stati in fretta messi alla porta da un mercato dominato dal profitto e dalla superproduzione delle grandi aziende.

Mercato nero a gonfie vele

Quanto al sottrarre profitti alla criminalità organizzata («Controllandolo, legalizzandolo», prometteva Trudeau nel 2018 parlando di marijuana più sicura, non adulterata da sostanze tossiche e a disposizione dei soli maggiorenni, «impediremo alle organizzazioni criminali e alle bande di strada di fare milioni, miliardi di dollari di profitti ogni anno») la Statistics Canada ha rilevato che solo il 28 per cento dei canadesi acquista marijuana attraverso canali legali e autorizzati che, costretti a pagare per la licenza e vendere un prodotto legale altamente tassato, arrivano a imporre prezzi multipli di quelli imposti sul mercato nero dove continua a servirsi il 58 per cento dei consumatori canadesi.

Da gennaio a novembre 2020 solo nella British Columbia si sono contate 1.548 persone morte di overdose. E come assicura la divisione criminalità organizzata della polizia provinciale dell’Ontario, il numero e le dimensioni dei sequestri di marijuana diretta negli Stati Uniti «stanno crescendo in modo esponenziale».

Foto di Cannabis Culture, licenza CC BY 2.0

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