
Mario Tuti: Te Deum laudamus per sorella cattività

Come da tradizione, anche nel 2014 l’ultimo numero del settimanale Tempi è interamente dedicato ai “Te Deum”, i ringraziamenti per l’anno appena trascorso firmati da diverse personalità del panorama sociale, culturale e civile italiano e non solo. Nella rivista che resterà in edicola per due settimane a partire dal 31 dicembre, troverete, tra gli altri, i contributi di Angelo Scola, Asia Bibi, Louis Raphaël I Sako, Fausto Bertinotti, Luigi Amicone, Renato Farina, Mattia Feltri, Fred Perri, Aldo Trento, Pippo Corigliano, Annalisa Teggi, Alessandra Kustermann.
Pubblichiamo qui il “Te Deum” di Mario Tuti. Fondatore nel 1972 dell’organizzazione fascista Fronte Nazionale Rivoluzionario, Tuti ha passato in prigione gli ultimi quarant’anni della sua vita, oltre otto dei quali in isolamento, in seguito a due ergastoli per omicidio e a una condanna per la rivolta capeggiata nel penitenziario di Porto Azzurro (1987). Da circa dieci anni collabora con la comunità Mondo Nuovo per il reinserimento dei tossicodipendenti, a Civitavecchia, dove è attualmente detenuto in regime di semilibertà. Ogni sera alle ore 22, infatti, rientra in cella, «come un pensionato – dice lui – con una moglie brontolona che non gli permette di portare gli amici a casa».
Le feste di Natale, in carcere e nella Comunità per ragazzi con problemi di tossicodipendenza con cui collaboro, sono sempre un momento critico: momento di nostalgia e di rimpianti che possono far ripiombare nella disperazione e nell’angoscia. E così se in carcere la consueta routine è spezzata da maggiori controlli e perquisizioni straordinarie alla ricerca di vino o di pasticche con cui stravolgersi e ottenebrare la colpa e la coscienza, qui in Comunità si punta sull’attenzione verso i nostri ragazzi, offrendo quell’amore e quella comprensione che travalicano i ruoli di terapeuta, operatore o utente, facendoci riconoscere tutti come uomini, forse colpevoli e certo limitati e imperfetti, ma comunque capaci di riscatto!
E anch’io, alla soglia dei settant’anni (gli anni della nostra vita sono settanta, dice il Salmista) e nel mio quarantesimo anno di detenzione, provo a fare un bilancio della mia vita e di quest’anno ormai trascorso. Ringraziando il Signore – seppure da non credente – per avermi fatto conoscere la colpa, il peccato e la pena. Perché è stata l’esperienza del dolore e della violenza, inferti e in parte subiti, che mi ha reso capace di sentire nella carne e nella coscienza il dolore altrui, che mi ha fatto vivere e riconoscere gli altri in me stesso, aprendo il cuore a quella solidarietà nella pena e nella sofferenza che resta anche quando tutto il resto è ormai perduto. Quel soffrire insieme, quella sympatheia e compassione che può ancora tutto salvare, e cambiare. Dando un senso anche alla nostra caducità, finitudine e colpevolezza.
E di questo, o Dio, Ti lodo e Ti ringrazio!
Ti lodo e Ti ringrazio per i momenti di fatica e di angoscia a condividere le ansie, le paure, le fughe, la disperazione, il malessere dei ragazzi della Comunità – cercando sempre di dare un abbraccio e una speranza, ricordando loro le parole del Cristo: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò…».
Ti lodo e Ti ringrazio per il carcere, la sua solitudine, la sua miseria morale e materiale… senza le quali non avrei rigettato l’orgoglio e imparato l’umiltà, cercando di cambiare il mio cuore di pietra con un cuore di carne!
Venti anni fa, quando era appena morta mia madre – che era l’unica che ancora mi seguiva – e dopo cinque o sei anni di isolamento nei “braccetti”, mi ero visto applicare anche le restrizioni del 41 bis (il decreto antimafia!). Un volontario laico che era riuscito ad ottenere il permesso per incontrarmi mi fece osservare che in fondo ero fortunato a trovarmi in quella situazione, perché altrimenti sarei rimasto «il solito empolese: ricco, stronzo e contento». E aveva ragione! Avessi continuato la mia carriera di architetto nella ricca provincia toscana, a Natale e nelle altre feste comandate avrei certo elargito qualche offerta in denaro per tossici, carcerati o altri bisognosi, ma solo come dovere sociale, senza essere minimamente toccato dalla loro sorte, e sentendomi anche – come i farisei del Vangelo – superiore a loro e contento di me.
Quella immeritata somiglianza col Cristo
Per questo Signore Ti lodo e di ringrazio, perché dalla nostra cattività e cattiveria fai germogliare quelle possibilità di speranza, perdono e redenzione che vedo tutti i giorni negli occhi dei “miei” ragazzi in Comunità, e la sera, a volte, nei miei compagni di prigionia, segnati dalla prova.
Ti lodo e Ti ringrazio poi per la mia povertà e la vecchiaia che incombe, che entrambe rendono liberi da ogni dipendenza, da tutti quei desideri e quelle passioni e quell’orgoglio su cui abbiamo fondato i nostri errori, le colpe e i peccati. Questa sorella povertà che, insieme all’avvicinarsi in prospettiva di sorella morte, ci ricorda e ci permette di offrire, in questo Natale, i doni più belli, avvolgendo in carta da regalo il nostro cuore, il nostro amore.
Ti lodo e Ti ringrazio, Signore, ma Tu ascolta la nostra supplica e, come nelle parole del Salmo, «insegnaci a contare i nostri giorni e giungeremo alla sapienza del cuore… Muoviti a pietà dei tuoi servi… Rendici la gioia per i giorni di afflizione, per gli anni in cui abbiamo visto la sventura».
Ti lodo e Ti ringrazio, Signore, perché ai limiti della mia orgogliosa ragione e filosofia offri l’ineffabile possibilità del Tuo Mistero.
E anche da non credente Ti lodo e Ti ringrazio, Tu re della gloria, Cristo, che per la salvezza dell’uomo non solo non hai disdegnato d’incarnarti nel ventre di una Vergine – come nei versi dell’antico inno ambrosiano – ma Ti sei anche detto prigioniero, straniero, nudo, affamato, infermo… Per permettermi di riconoscermi in Te, per permetterci di riconoscerci in Te pur con le nostre troppo umane colpe e debolezze… Ti lodo e ti glorifico, Signore, per avermi offerto, infedele e peccatore, questa somiglianza col Cristo!
«Te Deum laudamus»: la lode e la preghiera che risuonano nei nostri orecchi e nel nostro cuore in questo avvicinarsi al Natale e alla fine dell’anno accettale, o Signore, come una supplica alla Tua carità e misericordia:
«Pietà di noi, Signore,
pietà di noi.
Tu sei la nostra speranza,
non saremo confusi in eterno».
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4 commenti
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Molto commovente,grazie per l’emozione che ho provato.
Leggere quello che Mario Tuti ha scritto è da brivido. Non volevo crederci.
Sia reso grazie a Dio.
Mario io ti ho conosciuto nel carcere di Nuoro nel 1979 ero in quel periodo agente di custodia.Eri uno di quei detenuti che osservavo di più,perché mi accorgevo che avevi una certa cultura ed eri alla ricerca di qualcosa che desse un significato a questa vita.
Da te ho imparato a fare i gradini delle scale a due a due e tutt’ora a volte quando li faccio o penso a te.
Ti ringrazio tantissimo della testimonianza del tuo Te Deum in quanto mi hai fatto capire che hai più fede di me!!
Egr.Sig. Tuti, ma davvero Lei non e’ credente? Io credo di si proprio per il cammino da Lei fatto in questi quaranta anni. Non si puo’ parlare di Cristo e dell’uomo come ne parla Lei senza essere stati toccati nel profondo. E’ l’ultimo scatto di liberta’ della sua ragione che deve arrendersi all’evidenza che quello che e’ successo nel suo cuore e’ opera di un Altro. Grazie per tutto quello che ci ha detto.