
Medio Oriente. La guerra in Iraq e Siria e la lotta fra sciiti e sunniti rischiano di portare a uno scontro nucleare
In Iraq la situazione è sempre più critica. I guerriglieri jihadisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isil) e le milizie sunnite sono arrivate alle porte di Baghdad e gran parte della regione nord-occidentale è finita sotto il loro controllo. Il governo sciita di Al Maliki ha chiesto aiuto agli Stati Uniti e all’Iran, accusando l’Arabia Saudita di sostenere gli jihadisti. I sauditi, dal canto loro, accusano Al Maliki di aver contribuito alla situazione discriminando i sunniti. Se anche il governo iracheno riuscirà a resistere contro le milizie islamiche, secondo gli analisti, la nazione irachena, così come è stato concepito nel ‘900 è destinata a scomparire.
CONFINI IN DISFACIMENTO. Sullo Spectator, Douglas Murray, in un articolo «profetico» già apparso a gennaio all’indomani della conquista di Falluja da parte dell’Isil e ripubblicato l’altro giorno dal settimanale britannico, sottolinea come la situazione in Medio Oriente sia ormai ingestibile per le nazioni occidentali: «Il Medio Oriente – osserva Murray – non solo sta andando in pezzi. Sta prendendo una forma diversa, lungo linee di confine molto chiare, di gran lunga più antiche di quelle che, quasi un secolo fa, le potenze occidentali hanno sgarbatamente imposto alla regione». «In tutta la zona, i confini sono in procinto di sfaldarsi e di rompersi», sottolinea Murray. Mentre ciò accade «i due centri di potere più ambiziosi del Medio Oriente – la casata dei Saud in Arabia e gli Ayatollah in Iran – si trovano a combattere tra loro non solo per l’influenza della regione, ma anche, forse, per la loro sopravvivenza».
IRAN CONTRO ARABIA SAUDITA. Secondo l’editorialista dello Spectator la guerra civile siriana, quella irachena, e i continui attentati reciproci fra sciiti e sunniti possono portare in breve tempo a una guerra aperta fra Iran e Arabia Saudita, le maggiori potenze medio-orientali e interpreti, fra l’altro, dei due rami principali dell’islam, quello sciita e quello sunnita. Questo scenario è reso possibile dall’assenza di risposte del mondo occidentale e degli Stati Uniti alla crisi. «L’obiettivo degli americani», scrive l’editorialista dello Spectator, «è raggiungere l’indipendenza energetica». «Perché dovrebbero mantenere la sicurezza di una regione che fa accordi proficui soltanto per la Cina?». Proprio il disinteresse degli Stati Uniti, osserva Murray, ha portato le fazioni in lotta «a rivolgersi alle potenze regionali che con loro condividono con grandi obiettivi», in Siria, dove l’Iran si è schierato in difesa di Assad e l’Arabia a favore dei ribelli. I contrasti fra Iran e Arabia Saudita non sono una novità. Tuttavia, sottolinea Murray, «è solo quando la Siria è crollata che le potenze regionali sono state spinte inesorabilmente in una battaglia più aperta e la guerra fredda tra Iran e Arabia è diventata “bollente”».
GUERRA DI RELIGIONE. La guerra fra Iran e Arabia Saudita è anche una guerra di religione. In una visita a Londra, alla fine del 2013, il principe Turki al-Faisal, una delle figure più importanti dell’Arabia Saudita, aveva detto che «l’Arabia Saudita è il custode delle due Sacre Moschee e il luogo di nascita dell’islam. E come tale, essa è il leader eminente del mondo musulmano in generale». L’Iran, dall’altra parte, sostiene Murray, «si dipinge come il leader non solo del mondo sciita minoritario, ma di tutti i rivoluzionari musulmani interessati a resistere contro l’Occidente».
La guerra di religione non si combatte solo fra sciiti e sunniti, ma anche fra radicali e moderati, sottolinea Murray, citando un dialogo radio, registrato da un’intercettazione, fra un ribelle moderato e uno dell’Isis. In questo dialogo, sottolinea Murray, il ribelle moderato chiede al combattente dell’Isis perché è venuto a combattere in Siria e non va a combattere contro Israele. Il jihadista gli risponde accusandolo di apostasia: «Combattere gli eretici come voi ha la precedenza sulla guerra agli ebrei e i cristiani. Su questo concordano tutti gli imam». Secondo l’editorialista dello Spectator questo «conflitto non solo è più grande di al-Qaeda e altre fazioni, ma è molto più grande di ognuno di noi». «Si sta ri-allineando – spiega Murray – non solo il Medio Oriente, ma la religione dell’islam».
RISCHIO ATOMICO. Il Medio Oriente è finito in un «complesso miasma» simile a quello in cui precipitò l’Europa durante le guerre di religione, in particolare la guerra dei 30 anni. Forse anche il Medio Oriente, ipotizza Murray, arriverà a un chiarimento finale riguardo «alle aspre rivalità e alle ambizioni inconciliabili», con una conclusione «in stile trattato di Westfalia». Tuttavia, sottolinea l’editorialista dello Spectator, «finora gli unici territori immuni ai combattimenti sono quelli dei principali protagonisti», Iran e Arabia Saudita, nazioni che potrebbero entrare in possesso di armi nucleari. Nel caso si facessero guerra apertamente, conclude l’editorialista dello Spectator, «la soluzione a Westfalia potrebbe essere preceduta da un fungo atomico».
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Aggiungi pure che la desertificazione del sud del mondo avanza. Da giovane mi chiedevo perché non si potevano fare dei dissalatori enormi per il sud del mondo. Talvolta me lo chiedo ancora. Ma mi rispondo: perché nel deserto quando non avevano armi si tiravano le pietre; col petrolio (che consumiamo noi) hanno fatto scambio d’armi. Che appunto continuano a tirsarsi addosso. Nell’ascesa dell’assoluta assenza di obiettivi costruttivi, questi scappano tutti qui, dove però nemmeno noi li abbiamo perché finora il cibo è caduto dal cielo ed era sufficinte tenere la bocca aperta pure consumando petrolio. Con questa logica perdurante potremmo andare in Finlandia noi a inquinarla. Chissa cosa ne pensano i nordici. Sarebbe servita meno ignoranza, un’altra cultura. E’ ormai tardino, futuro buio.