Meeting. La mostra in cui «c’è sempre qualcosa di più da vedere»

Di Piero Vietti
23 Agosto 2022
"In oculis facta" racconta e spiega il ruolo delle immagini nella conoscenza scientifica. Senza chiudere perché "lo dice la scienza", ma lasciando aperte le domande
Mostra Meeting In oculis Facta

Mostra Meeting In oculis Facta

Per immergersi e capire una delle mostre più affascinanti del Meeting di quest’anno, In oculis facta. Il ruolo dell’immagine nella conoscenza scientifica, bisogna partire dalla citazione di Teilhard de Chardin riportata in grande su una delle pareti: «La storia della scienza naturale può essere riassunta come l’elaborazione di occhi sempre più perfetti entro un cosmo nel quale c’è sempre qualcosa di più da vedere».

Il lavoro che c’è dietro a un’immagine scientifica

In un tempo in cui il mantra “lo dice la scienza” viene usato per mettere a tacere ogni discussione e la parola degli esperti è spacciata come definitiva e inappellabile, ribadire che c’è sempre qualcosa di più da vedere non è banale esercizio retorico. La mostra, a cura di Euresis e Camplus, non ha la classica struttura delle mostre del Meeting, non ci sono visite che partono ogni quarto d’ora, non ha un vero inizio e una fine specifica, invita e avvolge il visitatore – all’inizio un po’ spaesato – cercando di fargli capire cosa significa lavorare con le immagini scientifiche. Raccontano che l’idea è nata quando la Nasa stava per lanciare il telescopio James Webb nello spazio: quale immagine del cosmo ci avrebbe restituito?

Dietro a questa domanda di tutti c’è un lavoro che pochi conoscono: anni di studi, preparazioni e tentativi per ottenere una riproduzione fotografica che aiuti a conoscere un po’ di più. Ci sono tredici enormi pannelli che circondano chi entra nella mostra con immagini più o meno note: il bosone di Higgs, la foto del primo buco nero, la nebulosa di Orione, le cellule del corpo umano, le radiografie, i neutrini che da galassie lontane attraversano i ghiacci dell’Antartide. Microcosmo e macrocosmo sono oggi sempre più conoscibili di un tempo grazie alla tecnologia, eppure c’è qualcosa che unisce i disegni della natura fatti dall’uomo fin dall’antichità e la foto dell’ammasso di galassie MACS J1149.6+2223 in cui, nello stesso “scatto” si vedono tre momenti differenti della fine di una supernova, e che ha permesso di confermare il fenomeno delle lenti gravitazionali: da sempre l’uomo ha bisogno di vedere per conoscere meglio la realtà. 

L’esigenza di raffigurare il mondo che ci circonda

«Da dove nasce», si chiedono gli ideatori della mostra, «questa nostra esigenza di raffigurare il mondo che ci circonda? Fino a che punto essa è costitutiva della nostra possibilità di conoscere e qual è la sua funzione?». In oculis facta non ha il problema di chiudere la questione con una risposta rassicurante, ma lascia delle domande aperte, rilancia, racconta – ad esempio attraverso lo stupore di chi quelle immagini le ha realizzate per la prima volta – che la conoscenza non si esaurisce, che la tecnologia è al servizio dell’uomo, il quale resta il soggetto principale, banalmente perché sceglie cosa selezionare e cosa no, cosa esaltare e cosa no, cosa approfondire e cosa lasciare inesplorato.

Vedere per credere, vedere per capire meglio, vedere per confermare e andare più a fondo, vedere per curare: la sezione dedicata alla medicina mostra benissimo l’importanza delle immagini per le diagnosi e le cure. Che cos’è l’uomo, che dagli scarabocchi sulle pareti nella preistoria oggi “fotografa” le particelle elementari e le scale cosmiche, eppure non conosce di cosa è fatto il 95,1 per cento dell’Universo?

«Nella mia esperienza», ha detto nel 1986 il premio Nobel per la Chimica John Polanyi, «la scienza è un’impresa appassionata. Basti pensare a Leonardo da Vinci che, da osservatore scientifico meticoloso, contempla con appassionata meraviglia il feto nel grembo materno. Ciò che ha visto ed espresso nei suoi disegni anatomici non è soltanto una catalogazione di elementi ma un’unità di forme, una sinfonia di sfere […]. Ci vuole coraggio per essere un innovatore sia nell’arte che nella scienza. Entrambe le discipline esigono che si esca dal letargo e si guardi il mondo come se fosse la prima volta».

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