Meglio punkettaro che matusa

Cronaca di un “momento padre-figlio” nel bel mezzo del marasma di un festival di musica punk

Foto di Abigail Lynn per Unsplash

Buongiorno direttore, oramai scriverti sta diventando per me terapeutico in quanto come nella mia ultima lettera, anche oggi vorrei parlarti di una esperienza personale. Il tema è sempre lo stesso, ovvero la mia passione in ambito musicale, ma questa volta vorrei parlartene partendo da due visioni differenti.

Non voglio fare il finto modesto, in quanto mi reputo un buon ascoltatore e conoscitore musicale, mentre sono consapevole di essere un pessimo batterista, anche se questo, per mancanza di materia prima nel mio territorio, non mi ha impedito di suonare in vari gruppi locali. In questo ultimo anno mi sento particolarmente orgoglioso nel vedere mio figlio diciasettenne seguire la mia passione e non sai come sia bello vedere lui insieme a dei suoi coscritti/e suonare in una band. Chiaramente ha già superato il padre, scrivono pezzi loro, cosa che nelle mie band non abbiamo mai saputo fare, e anche tecnicamente nel vederlo suonare mi rendo conto che non trattandosi di un autodidatta come me, il suo studio sullo strumento porta buoni risultati.

In questi giorni di villeggiatura ho notato un manifesto di un festival punk in paese. Tre band, una romana, una toscana ed una inglese si esibiranno sul palco fronte mare. Voglioso di vivere un’esperienza con mio figlio, cosa naturalmente sempre più rara alla sua età, propongo di andarci assieme, e lui accetta volentieri.

Non ti farò un resoconto di questi concerti, ma ti faccio un’istantanea fotografia di quello che ho visto e sentito. Volumi oltre il limite umano, bassisti che suonano saltando e ballando senza la possibilità di vedergli le mani per capire come facciano a produrre quel suono, chitarristi e cantanti impossibilitati a muoversi, costretti a sostare davanti al microfono da cui esce una voce oltretombale, batteristi rigorosamente a torso nudo che sprizzano sudore non dovuto alle temperature estive.

In mezzo a questo marasma, osservo mio figlio che con il cappellino al contrario ondeggia la testa ad ogni colpo di cassa (e sono veramente tanti) compiaciuto come non mai.

In quel momento mi sono sentito come i “matusa” che davano dei capelloni agli emergenti Beatles, o ancora peggio mi sono rivisto in mio padre che si chiedeva come io ragazzino potessi ascoltare Vasco Rossi, «un drogato che non sa cantare».

Io però caro direttore ho voluto distinguermi, e a fine serata, quando ho letto dal labiale di mio figlio (in quanto oramai non ero in grado di sentire più nulla) la domanda: «Papà, ti è piaciuto?», ho risposto: «Sì, molto».

Sono consapevole che non bisognerebbe mai mentire ai propri figli, e che invece sarei dovuto partire con una valutazione riguardo al suono pulito in rapporto al suono distorto e fargli capire come la sonorità possa unirsi alla poesia, eccetera. Eppure in quel momento la condivisione ha prevaricato sul buon senso, e allora meglio una sera da punkettaro che un altro noioso insegnamento del padre verso il figlio.

[Antonio Azzarito, Luino (Va)]

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