
Meloni: c’è un’alternativa al declino occidentale

«Il patriottismo è la migliore risposta al declinismo» dell’Occidente. Questa la sintesi del potente intervento della premier Giorgia Meloni davanti alla platea dello Ziegfeld Ballroom di New York, accorsa per assistere alla consegna del Global Citizen Award dell’Atlantic Council.
Meloni non tiene un discorso di rito, magari infarcito di frasi vuote, ma sceglie di puntare alto. Così, nei suoi tredici minuti e 16 secondi di intervento, pronunciati in perfetto inglese, la presidente del Consiglio affronta il declino dell’Occidente e offre le sue soluzioni. Definisce la Nazione qualcosa di «più di un luogo fisico», ma «uno stato d’animo» e sceglie di estendere questo ragionamento all’Occidente nel suo complesso, descritto dalla premier come «un sistema di valori in cui la persona è centrale, gli uomini e le donne sono uguali e liberi, e quindi i sistemi sono democratici, la vita è sacra, lo stato è laico e basato sullo stato di diritto». Insomma, l’Occidente come luogo dell’anima, «sintesi nata dall’incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanesimo cristiano».
Le due malattie dell’Occidente
La presidente del Consiglio passa in rassegna quelle che, a suo avviso, sono le principali malattie di cui è affetto l’Occidente. La prima è l’oicofobia, patologia “scoperta” dal principe dei filosofi conservatori contemporanei Roger Scruton e che spinge le società occidentali a odiare sé stesse. L’Occidente, in altre parole, è attraversato da un violento desiderio di autodistruzione che gli mostra solo ciò che è deprecabile della propria storia, e gli impedisce di percepire ciò che di grande e puro ha prodotto nel corso della sua storia.
La seconda malattia cui Meloni fa riferimento è la pretesa dell’Occidente stesso di sentirsi «superiore agli altri», nel tentativo paradossale di imporre al resto del mondo come vivere e cosa pensare, con la conseguenza di replicare un approccio paternalistico che ha già dimostrato tutti i suoi limiti.

Greci, romani, cristiani
Ed ecco, allora, che il capo del Governo prova a elaborare l’antidoto a questi mali. E lo fa partendo dal commento di un’analista di politica estera, Anthony J. Constantini, comparso lo scorso anno sulle colonne di Politico, testata europea molto letta nei corridoi di Bruxelles. Sua la definizione di «nazionalismo occidentale» per sintetizzare il “credo” di Meloni, descritto come qualcosa «nuovo sulla scena europea» perché ha come «obiettivo la sopravvivenza e la fioritura della civiltà occidentale».
Meloni raccoglie questo spunto, e trova la sua “chiave” per fermare il declino dell’Occidente, e invertire la rotta.
«Dobbiamo soprattutto recuperare la consapevolezza di quello che siamo. Come popoli occidentali, abbiamo il dovere di mantenere questa promessa e di cercare la risposta ai problemi del futuro avendo fiducia nei nostri valori: una sintesi nata dall’incontro tra la filosofia greca, il diritto romano e l’umanesimo cristiano», dice la premier, rivolgendosi alla platea, compassata ma non troppo, dell’Atlantic Council.
E facendo sue le parole di Ronald Reagan, il “cowboy” repubblicano che contribuì a spezzare la cortina di ferro, la premier ammonisce chi la ascolta dal tentativo dei regimi autoritari di utilizzare contro l’Occidente le proprie debolezze e contraddizioni.
Meloni chiede così di puntare sulla «forza della nostra identità», perché «la nostra libertà e i nostri valori, e l’orgoglio che proviamo per essi, sono le armi che i nostri avversari temono di più».

Non arrendersi al declino
Ma quello della premier non è solo un discorso “contro”, che identifica un nemico o si limita a descriverlo, magari replicando schemi abusati nel dibattito politico occidentale. La pars costruens attraversa tutte le parole di Meloni, ed emerge con chiarezza nella parte finale dell’intervento.
«Possiamo continuare ad alimentare l’idea del declino dell’Occidente, arrendendoci all’idea che la nostra civiltà non abbia più nulla da dire, né rotte da tracciare», dice la premier. «Oppure possiamo ricordarci chi siamo, imparare anche dai nostri errori, aggiungere il nostro pezzo di racconto a questo straordinario percorso, e governare quello che accade intorno a noi, per lasciare ai nostri figli un mondo migliore. Il che è esattamente la mia scelta».
Insomma, una potente lezione di orgoglio occidentale, che dà forma e sostanza anche ad una nuova forma di patriottismo e rappresenta un possibile ed efficace rimedio al wokismo e alla cancel culture.
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