Meno leggi,per agire meglio

Di Cavallo Carlo Alberto
16 Giugno 1999
Più società migliora gli stati. Commisssione e Consiglio sono espressioni dei Governi nazionali, e a volte gli interessi specifici prevalgono sulla tutela dei principi. Il Parlamento Europeo, invece, lo scegliamo noi, e sarà dunque il luogo privilegiato per far rispettare e mettere in atto la sussidiarietà in Europa

Conosciamo bene la italica storia del principio di sussidiarietà. Meno note sono invece le sue vicende europee. A cominciare dall’articolo 3b di quel Trattato di Maastricht di cui conserviamo in memoria solo i dettami economici. Vi si affermava, era l’anno 1992, una delle disposizioni più discusse e delicate nella tormentata storia della Comunità.

Che cioè la Comunità agisce solo per quanto le compete, cioè in base a quanto espresso nei Trattati. Punto e basta. Al di fuori di ciò, interviene solo quando l’azione dei singoli Paesi membri è palesemente inadeguata o insufficiente. E anche in questo caso, fatto ciò che si deve fare, poi si ritira. Su che cosa la Comunità sia competente è ben espresso dall’elenco in venti punti dell’articolo 3; molto più incerta era ovviamente la definizione dei campi in cui non si doveva, se non eccezionalmente, intervenire. Non bisogna però stupirsi di questa indeterminatezza. Tutta la breve storia della Comunità è sempre stata infatti dominata dal conflitto, spesso aspro, tra modelli istituzionali diversi, che davano luogo ad accordi compromissori, e quindi incerti. A cominciare dal primo “Congresso d’Europa”, il 7 maggio del 1948: per uscira dall’incubo della guerra con un progetto comune, di pace e di collaborazione, tre grandi sistemi cominciarono a confrontarsi. I confederalisti proponevano un forte accordo che lasciasse però intatta la totale sovranità dei singoli Stati. Ben più battaglieri sul piano europeo erano invece coloro che vedevano proprio nell’esistenza dei singoli Stati una delle cause dei due conflitti mondiali: per costoro, quindi, un’unica Europa doveva abbattere i conflitti esistenti e proporre una nuova convivenza sociale. Il terzo filone di pensiero pensava invece alla costruzione europea per tappe, come un processo di integrazioni settoriali successive. Tanto per capirci, e se mi è permesso un paragone irriverente, tre tipi di rapporto di coppia erano sul piatto: i “Vediamoci quanto vuoi, poi ognuno a casa sua”, i “Sposiamoci subito”, e infine gli “Eterni fidanzati”. Come per tutte le coppie un po’ sgangherate, vinsero allora gli Eterni fidanzati. Almeno fino a Maastricht, appunto, quando l’articolo 3b ha di fatto mischiato le carte in tavola.

Le ha così mischiate che tutto l’impianto comunitario ne è stato scosso, dando luogo ad una crisi del dopo-Maastricht in cui l’esito negativo del referendum in Danimarca non fu che il primo segno di un diffuso e montante euroscetticismo.

C’è voluto lo sforzo della Conferenza Inter-Governativa per produrre un Protocollo accluso al Trattato di Amsterdam, di recente ratifica, e specificare meglio il principio di sussidiarietà e quello di proporzionalità che, da ora in avanti, gli farà da corona.

Vi vengono specificati infatti i principi guida: la Comunità agisce solo quando necessario, giustificato, e soprattutto se maggiormente vantaggioso dell’intervento dei singoli Stati (art.5). Se si fa qualcosa, lo si fa in maniera semplice, definendo il quadro di riferimento e lasciando alle autorità nazionali la scelta su forma e metodi (art.6); se non si fa niente invece, non significa ovviamente che gli Stati non siano lo stesso obbligati a osservare i Trattati (art.8). Oltre che a svolgere il proprio dovere, cioè a esercitare le competenze naturali affidate dal Trattato. La Commissione ha riassunto in uno slogan tutto ciò: “Legiferare meno per agire meglio”. Nel nostro irriverente paragone, la famiglia europea si attiva, e per davvero, dove c’è bisogno di un’azione comune, mentre dal resto si astiene. È compito di una famiglia scegliere e condividere i valori. È compito di ognuno di noi applicarli responsabilmente. E di valori comuni forti sappiamo quanto ci sia bisogno in Europa, sul piano della credibilità internazionale economica, oggi anche finanziaria, così come nella politica estera e di sicurezza. Soprattutto nella promozione della pace e difesa estrema dei minimi diritti umani, purtroppo anche appena al di là delle nostre porte. Sappiamo anche bene quanto sia inutile, o anche perversamente dannoso, cercare di regolamentare tutto, centralmente, dalla fiscalità alla sanità, pensando di poter essere più forti della società e della sua storia. Non sappiamo invece se i buoni propositi della sussidiarietà e della proporzionalità saranno veramente applicati. Temiamo che anche in questo caso non sia tutto Euro quel che luccica.

Per nostra fortuna, la complicata storia comunitaria ha insegnato ai legislatori a diffidare dei facili entusiasmi. Così, lo stesso protocollo del Trattato di Amsterdam sui due principii ha stabilito una vigilanza per la loro applicazione (artt. 9,10,11). La Commissione, motore legislativo della Comunità, dovrà riferire annualmente al Consiglio e al Parlamento Europeo, che a loro dovranno garantire l’applicazione dell’articolo 3b.

Il Consiglio è espressione dei Governi nazionali, e a volte gli interessi specifici prevalgono sulla tutela dei principi. Il Parlamento Europeo, invece, lo scegliamo direttamente noi, e sarà dunque il luogo privilegiato per far rispettare e mettere in atto la sussidiarietà in Europa.

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