Il nuovo presidente dell’Argentina Milei non è un “pericolo per la democrazia”

Votato soprattutto dai giovani, l'economista libertario che ha stravinto le presidenziali vuole una riforma finanziaria radicale e la chiusura della Banca centrale. Dovrà governare coi moderati e promette una «rivoluzione liberale»

Il neopresidente eletto argentino, Javier Milei (foto Ansa)

«Viva la libertà, c…o», ripetuto per ben tre volte. Solo la chiusura del discorso della vittoria del 53enne economista libertario Javier Milei, il nuovo presidente argentino, è stata “poco moderata”, usando un eufemismo ed assai poco “presidenziale”. Per il resto, nei 17 minuti in cui ha letto un discorso scritto, l’economista che ha stravinto le presidenziali di ieri in Argentina (con quasi il 12 per cento di vantaggio sul 51enne peronista kirchnerista Sergio Massa) ha ribadito i punti del suo programma. Ovvero le ricette economiche della scuola austriaca di Friedrich von Hayek e Ludwig von Mises.

Le idee economiche di Milei e l’inflazione in Argentina

Ma chi è e che cosa vuole fare il nuovo presidente? Milei, che ha scritto decine di testi di economia di successo, uno dei quali dal titolo significativo “Libertà, libertà, libertà” (un chiaro riferimento all’inno argentino), è a favore di una riforma finanziaria radicale per eliminare il sistema della riserva frazionaria, per creare un modello di free banking, per dollarizzare e per chiudere la Banca centrale. Obiettivo? Mettere fine all’elevata inflazione di cui storicamente soffre il Paese, «inflazione che è la tassa più iniqua che esiste, perché si mangia il 25 per cento del potere d’acquisto della classe più povera e da sola s’ingoia ogni anno il 5 per cento del Pil».

Per la cronaca oggi l’inflazione in Argentina è del 143 per cento, con previsioni che arrivi al 180 entro fine 2023. Un disastro insomma ma, al di là dei tecnicismi da economista e di quanto potrà fare, Milei è riuscito a creare una terza via “liberale e libertaria” in poco più di due anni, rompendo il duopolio storico che dagli anni Quaranta del secolo scorso divide il Paese del tango. Ovvero i peronisti da un lato, incarnati oggi dalla versione di sinistra, il kirchnerismo rappresentato dal disastroso ministro dell’Economia e candidato sconfitto Massa, e gli anti-peronisti dall’altro.

Milei non è una minaccia per la democrazia

Di certo accusarlo, come hanno fatto tanti media, di rappresentare una minaccia per la democrazia è ridicolo. In primis perché, nonostante la valanga di voti, Milei sarà un presidente debole. Quando tra 20 giorni si insedierà alla presidenza, infatti, il suo partito La Libertà Avanza avrà appena sei seggi su 72 al Senato e 38 su 257 alla Camera. Per governare, insomma, il nuovo presidente dovrà lavorare con i moderati che sovente non sono d’accordo con lui. Non a caso nel suo discorso dei 17 minuti di ieri notte ha prima ringraziato per la loro «generosità» nell’appoggiarlo l’ex presidente Mauricio Macri e Patricia Bullrich, la terza arrivata al primo turno. Poi ha detto di essere disposto ad «accogliere chiunque sia disposto a unirsi alla nostra rivoluzione liberale, a prescindere dalla provenienza politica».

A livello caratteriale Milei è una sorta di Sgarbi della politica, solo che al posto della storia dell’arte conosce a menadito l’economia. Materia che domina a livelli così elevati che quando, a fine 2019, il presidente Alberto Fernández vinse le elezioni e circolava come papabile per il dicastero dell’Economia il nome di Guillermo Nielsen, quest’ultimo lo sondò come possibile presidente della Banca Centrale argentina. Lui rispose «no, grazie. Sono amico di Guillermo ma gli ho spiegato una cosa semplice: io la Banca Centrale la voglio chiudere».

Argentini stufi di statalismo e destra autoritaria

Ieri Milei ha spiegato così il suo successo: «Oggi la gente ha scelto tra tornare al liberalismo di fine 800, quando l’Argentina era la maggior potenza mondiale o continuare con l’attuale casta politica, corrotta e ladrona, per diventare da qui a cinquant’anni la più grande ‘villa miseria’ (favela, ndr) del mondo».

Dalle prime analisi, la roboante vittoria di Milei è stata possibile grazie al voto dei giovani di ogni classe sociale che non si identificano più con le idee stataliste, proprie del peronismo ma anche della destra autoritaria. Di fatto ieri il mondo ha assistito in Argentina a un nuovo risveglio liberale in una società dominata dallo stato, dai sussidi, dalle tariffe, dal controllo dei prezzi e da una delle inflazioni più alte al mondo. Ex portiere di calcio ed ex cantante rock dalla capigliatura sempre spettinata, Milei si considerava prima di entrare in politica due anni fa un “anarco-capitalista” ma, da allora, ha fatto un’evoluzione obbligata per arrivare alla presidenza, sparigliando le carte del dualismo argentino “peronismo-antiperonismo”.

Contrario all’aborto, al woke e ai lockdown sanitari

A differenza di Trump, al quale molti lo paragonano in Italia, il neo presidente non è spaventato dall’immigrazione come molti destrorsi a livello planetario e mostra un profilo moderno, difendendo la libertà sessuale e individuale ma criticando le «quote per le minoranze, rose o indigene che siano» e i discorsi “collettivisti” del neo-femminismo e dei gruppi LGBT. Contrario all’aborto perché «anche i non nati hanno libertà civili», per Milei le famiglie dovrebbero avere la possibilità di scegliere tra istruzione pubblica e privata. Inoltre si oppone alle politiche woke, ai lockdown sanitari ed è contrario alle soluzioni stataliste per affrontare il problema del cambiamento climatico.

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