Mission. Ovvero le omelie del Presidente degli Stati Uniti

Di Lorenzo Albacete
09 Febbraio 2000
Mission. Ovvero le omelie del Presidente degli Stati Uniti

Domenica scorsa nella parrocchia dove celebro Messa il sacerdote ha offerto ai parrocchiani il suo rapporto sullo “stato della parrocchia” a tutte le Messe. Ha sottolineato che la piena verità sullo “stato della parrocchia” in quanto parrocchia è qualcosa che soltanto il Signore conosce, e ha proseguito concentrandosi sulle questioni finanziarie e amministrative. Gli sono bastati meno di cinque minuti, e l’esposizione non ha sostituito la consueta omelia sulle letture del giorno.

La Costituzione esige che il presidente degli Stati Uniti offra ogni anno al Con-gresso un rapporto sullo “stato del-l’Unione”, e l’altra sera il presidente Clinton è apparso di fronte al Senato e alla Camera per offrire il suo settimo ed ultimo rapporto an-nuale. Gli sono volute più di due ore per esporlo, e conteneva più riferimenti a Dio, alla religione, alla moralità e al destino di quanti ce ne fossero nel rapporto del mio parroco. Si è trattato di un’omelia a tutti gli effetti.

Le omelie si appellano alla Parola di Dio nella Scrittura come norma di validità di ciò che propongono, della visione che promuovono, dei giudizi che pronunciano, del cambiamento di vita che invocano, delle azioni che raccomandano e di quant’altro. Ma a che cosa si appella il presidente degli Stati Uniti nella sua omelia? In realtà egli non si appella né alla Costituzione, né alle leggi, ma al senso di missione di questo paese, e si tratta di una missione morale. Questo senso della missione è realmente un fattore inseparabile dell’esperienza di unità di questo paese. Il paese è unito più dal senso di missione per un futuro ideale che dalla fedeltà a un passato o a un presente comuni. E questa missione va al di là dei suoi confini per riguardare il mondo tutto intero, poichè gli Americani sono venuti e ancora vengono da tutto il mondo per cercare questo futuro. Gli Americani possono avere opinioni diverse sui mezzi attraverso cui deve essere adempiuta questa missione globale: il semplice esempio, oppure la potenza militare, oppure la globalizzazione economica, oppure tutte queste cose insieme. Ma la maggioranza degli Americani continua a credere che questa missione nazionale sussista sia dentro che fuori dai nostri confini.

Una missione implica che ci sia qualcuno che manda, e, almeno nel discorso pubblico dei politici, quel qualcuno continua ad essere Dio. Natu-ralmente quando un paese ritiene di avere una missione da parte di Dio si crea una situazione pericolosa. Gli Americani credono che il loro Dio li ha scelti per promuovere la libertà, compresa, dicono oggi, la libertà di rigettare il Dio che ha scelto l’America per questa missione, come molti Americani fanno. Ma se le cose stanno così, come può l’America giustificare la sua missione davanti al mondo? E qual è la sua concezione della libertà? Include anche la libertà di rigettare la missione dell’America? Credo che dovremo aspettare altre omelie sullo “stato dell’Unione” per avere una risposta. Non c’è da meravigliarsi se qualche volta i candidati presidenziali sembrano dei candidati al papato.

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