Modello svizzero?

Di Fabio Cavallari
22 Gennaio 2004
«dovremmo imparare dalla Svizzera»

Qui nel profondo nord (Luino), quando qualcosa non funziona in campo sociale, economico o civile si usa dire «dovremmo imparare dalla Svizzera». Il Canton Ticino, infatti, brilla per pulizia, ordine, prosperità economica. Però, come sia usa dire, «non tutto ciò che luccica è oro». Prendiamo il sistema che governa il mondo del lavoro. Qualche ultraliberista nostrano magari sogna un modello “CH”. Pochi vincoli, sindacati ininfluenti, libertà di licenziamento. Insomma, capitalismo puro, senza i lacci e i lacciuoli che limitano la spinta propulsiva del libero mercato. Ma in tutto ciò l’uomo che ruolo ha? Siamo così sicuri che, assumendo acriticamente le leggi del “laissez faire”, una persona è messa nelle condizioni di realizzare al meglio le proprie capacità, bisogni, aspirazioni? Lasciamo da parte le analisi e prendiamo il caso, reale, di Erica F., 35 anni, operaia addetta all’assemblaggio di penne a sfera. Orario di lavoro: dalle 7 di mattina alle 17 del pomeriggio. Stipendio: millesettecento franchi, poco più di mille euro al mese. Un salario da fame rispetto a quello dei frontalieri “uomini”, ma si sa, la Svizzera è anche un po’ maschilista. Bene, il giorno dell’Epifania una telefonata annuncia a Erica l’immediato licenziamento. Motivazioni? Via telefono la titolare spiega alla nostra operaia: «In quanto a produttività lei rimane una delle migliori, il suo licenziamento dipende da un’incompatibilità di carattere». “Incompatibilità” con chi? Non è dato di sapere. Ma dal 6 gennaio si sa che Erica è una nuova disoccupata. Ora, quali sono le conseguenze di questa libertà d’impresa? Da un punto di vista meramente economico potremmo classificare tale pratica come l’apice della mobilità flessibile, dal lato umano, una mannaia. Il capitale, infatti, non conosce e non è tenuto a conoscere la situazione personale di Erica e il suo difficile reinserimento nella società dopo anni di depressione. Nessuno pretende che il sistema lavorativo si faccia carico degli aspetti personali dell’individuo, ma chi promulga leggi dovrebbe essere in grado di far conciliare uomini e capitale. Il grosso rischio che si corre è quello di confondere il libero mercato con la barbarie.

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