A Montecarlo nemmeno un metro di spiaggia è lasciato in balia delle onde sfaccendate

Montecarlo. Portieri in livrea sorvegliano l’ingresso di grattacieli di cristallo. Non una foglia non allineata nelle siepi, non un lavavetri ai semafori. Ad ogni incrocio frecce molteplici indicano tutte le direzioni possibili – forse per evitare di dover chiedere la strada a un essere umano. Le auto, lucenti e spesso di sfarzosa cilindrata, circolano senza suonare mai il clacson e poi vengono silenziosamente ingoiate dai cento parcheggi sotterranei. All’uscita paghi alla cassa automatica, una scritta verdina ti dice merci, au revoir, la sbarra si alza senza che alcun garagista non robotico sia comparso. La presenza umana pare ridotta al minimo indispensabile. In questi lindi inferi di cemento ti molesta per un attimo solo il pensiero che, se per caso ti imbattessi in un raro killer fraudolentemente introdottosi nel Principato, ti ritroverebbero stecchito solo all’alba degli addetti alle pulizie cinesi, o turchi, già però così integrati nel felice rigore di Montecarlo che, come prima reazione, si chiederebbero forse con quale categoria di rifiuti smaltirti.
Ma è improbabile fare, qui, brutti incontri. Benché non ci sia alcuna frontiera visibile al cartello “Monaco”, e la polizia del Principato abbia modi assai garbati, non vedi un solo extracomunitario, uno sparuto vù cumprà. Tutto è in ordine a Montecarlo, pensa il visitatore rasserenato, e solo sfiorato da un’ombra di dubbio su questa generale onestà quando gli cade l’occhio su certi attici affacciati sul mare, al quindicesimo piano, dove fremono le foglie di olivi centenari trasportati qui da qualche isola mediterranea e issati – con un elicottero, forse – su quei tetti dorati. Ora, le centinaia di finestre allineate e lucenti nella notte come nel riverbero di grandi feste fanno insorgere il vago retropensiero di come così numerose e straordinarie fortune possano essere state messe insieme da tanta brava gente.
Ma è solo un dubbio peregrino. Di facce da borsaioli, da ladri, non ne incontri nel principato felice. Ogni disordine pare essere stato sistemato davanti a questo mare che sembra, obiettivamente, più azzurro di quello di Nizza o Mentone. A questo mare cui hanno strappato una fetta, colmando una fascia di litorale con la terra degli scavi delle fondamenta di tutti quei grattacieli. È una miniera d’oro un metro quadro qui, non si può lasciarlo in balia di onde sfaccendate.
In certi terrazzamenti dei giardini davanti a un asilo, premurosi pedagogisti han messo orti che sono coltivati dai bambini, perché vedano com’è fatta dal vero una vera zucchina. Le pianticelle in germoglio si ergono in file dritte come di centurie romane, e senza ombra di parassiti o imperfezioni. Nemmeno una lumaca è sopravvissuta. Gelidamente perfetto è il mondo, quando è salvato dal dio del denaro.

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