Mostriciattole e mostrine

Di Frangi & Stolfi
31 Marzo 1999
Senza ombrello, sotto il temporale

L’uno di noi due, che è romano, uscendo dal Pac (ovverossia Padiglione d’arte contemporanea) di Milano, esclamò: “Mma questo è rosso Mmorto”. La “mmostra” s’intitolava in realtà Rosso vivo e s’è fortunatamente chiusa il 21 marzo (è un nuovo modo di dar conto delle mostre, il nostro: ne riferiamo a battenti chiusi, in modo che nessuno venga preso dalla sciagurata tentazione di visitarle). Fortunamente s’è chiusa anche l’altra mostra milanese durata sin troppo a lungo, L’Anima e il volto. Uscendo di lì, l’altro di noi, che è milanese, ha detto che sotto il titolo avrebbe messo anche il nome degli autori “L’anima e il volto di Mogol e Battisti”. Troppa acredine? Certamente: tra di noi due manca l’elemento frenante e più uno pesta, più l’altro lo incita a pestare. E il ring dialettico è fradicio di sangue. Questo sì, rosso vivo… Allora, il rosso. Ma si sa che il sangue non è materia da affidare ad una banda di vetrinisti! (Un altro nostro fratello, di nome Carlo Alberto, dalle colonne di un ex grande giornale ha ammonito, più galantemente di noi, che “il rosso qui è solo un pretesto cromatico”). Nelle sale ovattate del Pac tirato a lucido come uno showroom, spiccava qualche patetico esercizio sadomaso di quelli che andavano di moda una ventina d’anni fa. C’erano cadaverini in fac-simile messi sotto spirito, un po’ di piercing al cubo, qualche elegante ferrovecchio ovverossia scultura. C’era del buono, per carità! Non possiamo fare di ogni erba un fascio, ci diciamo l’un l’altro. Che diamine, Cindy Sherman, è una con gli attributi. Le sue foto sono inquietanti nella loro abnormità. Serrano riesce a cucire chissà come l’orrore con l’eleganza. Il giovane Cesare Fullone sa rendere l’epica sanguinaria del pugilato. Particolari, comunque. L’insopportabile era l’aria. Mefitica, per il sudore di gente che s’affanna pateticamente a correre per sentirsi al passo con i tempi. Ma Milano non è Londra. E se si mette a londreggiare ecco che affiora tutto il suo sconcertante provincialismo. Ci è giunto all’orecchio che la ministressa della cultura, Giovanna Melandri, avrebbe indicato nella mostra milanese un modello da seguire, tanto da affidare alla responsabile, tal Francesca Alfano Miglietta, dei corsi di aggiornamento ai funzionari del ministero. A parte immaginarci la faccia di quei poveri funzionari davanti al primo ventre sbudellato e abbellito con graziosi ami da pesca, vorremmo ricordare alla ministressa che proprio un anno fa a Vienna si era tenuta una mostra su ugual soggetto il Rosso. Lì si indagava sulla permanenza di questo colore nella cultura russa, dalle icone sino alla bandiera della Rivoluzione. Insomma un filo conduttore tra Andrej Rublev e Kasimir Malevic. Che gran mostra, quella. Aridateci Zdanov!

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