Senza politiche sulla natalità non c’è strategia sull’immigrazione che tenga

Di Redazione
19 Settembre 2023
Sul Corriere della Sera l'appello di De Bortoli per il «salto culturale» che serve per uscire dalla crisi demografica. Un paese diventa attrattivo per chi vuole integrarsi se è attrattivo per chi vuole fare figli
immigrazione Lampedusa
Un bambino gioca con un agente della Polizia con le bolle di sapone dopo l'arrivo nel porto di Lampedusa, 18 Settembre 2023 (foto Ansa)

Nel quotidiano dibattito su come gestire l’emergenza migranti, mediaticamente appiattito in uno scontro tra chi vorrebbe accogliere indiscriminatamente chiunque arrivi in Italia e chi vorrebbe alzare muri sulle alpi e sparare a vista a qualunque imbarcazione si avvicini alle nostre coste, si sottovaluta l’impatto delle politiche per la natalità. Quello della crisi demografica non è un pallino sovranista, una fissazione di Meloni e Roccella, né tantomeno un non-problema da vivere «in modo gioioso e desiderabile» (cit. Domani).

Il legame tra immigrazione e natalità

Lo ha spiegato bene nel suo editoriale Ferruccio de Bortoli, sul Corriere della Sera di domenica, commentando il meloniano «non venite in Italia» mandato ai governi dei paesi africani per cercare di fermare i flussi ormai quasi incontrollabili di migranti verso il nostro paese. Un editoriale che non elogia certo i salviniani blocchi navali, ma non cade nella facile retorica delle “risorse” extracomunitarie che servono al paese per pagare le pensioni agli italiani sempre più vecchi. «In realtà gran parte dell’umanità disperata che approda in qualche modo sulle nostre coste — e spesso ci lascia la vita — non vuole restare in Italia. Vuole solo passarci. E questo dovrebbe inquietarci al pari dell’emergenza di Lampedusa sulla quale gli altri Paesi europei sono generosi solo di ipocrita solidarietà».

Secondo l’ex direttore del Corriere, infatti, «esiste anche un rating, ovvero un giudizio, della povera gente che scappa dalla fame e dalle guerre». Se è vero che fermare del tutto la marea umana che parte per le nostre coste è oggettivamente impossibile, e che servono «regole certe, condivise, riorose, soprattutto contro il traffico di vite umane», non possiamo permetterci di essere considerati appena «un disordinato territorio di transito», dice De Bortoli. Così «ci faremmo male due volte. L’immigrazione migliore aumenterebbe la competitività degli altri Paesi. A nostro danno. E noi saremmo, ancora di più, la scorciatoia dolente del resto della popolazione migrante».

«Fare come l’Ungheria di Orbán»

Nessuna illusione di farcela da soli, né tantomeno di sostituire i figli che non nascono più con gli immigrati. Che «non sono la soluzione, ma possono rappresentare un aiuto», come diceva lo statistico ed esperto di demografia Roberto Volpi in un’intervista a Tempi. Ma perché fermarsi in un paese poco “attrattivo” dal punto di vista economico? Con una popolazione che invecchia ci sarebbero meno possibilità, anche di formare una famigli, paradossalmente. Come fare? Prendendo spunto da chi sta risolvendo il problema, come l’Ungheria, senza fermarsi ai pregiudizi.

Scrive De Bortoli, ricordando la partecipazione di Giorgia Meloni al forum sulle tendenze demografiche di Budapest: «Se c’è una scelta politica del suo alleato Viktor Orbán che va guardata con un certo interesse è quella che riguarda l’incoraggiamento della natalità. […] L’Ungheria è riuscita ad aumentare il tasso di natalità sostenendo economicamente le giovani coppie e destinando a politiche di sostegno il 5 per cento del Prodotto interno lordo (Pil). L’indice è passato da 1,25 figli per donna del 2010 a 1,59 nel 2021».

Continua De Bortoli: «La Repubblica Ceca, nello stesso periodo, da 1,51 a 1,83, a livelli francesi. Su questo aspetto, l’Italia può certamente fare di più, senza illudersi però che sia sufficiente invertire il tasso di fecondità (oggi a 1,25 in discesa) per sconfiggere l’inverno demografico. E non basta nemmeno costruire — dando corso faticosamente al Piano nazionale di ripresa e resilienza — tanti nidi e scuole materne». L’editorialista del Corriere parafrasa la ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, quando dice che «ci vuole un salto culturale».

Strategie per l’immigrazione e politiche per la natalità

Sono le proposte che i lettori di Tempi conoscono bene, di cui la stessa Roccella ha parlato all’evento dello scorso aprile a Roma su welfare e natalità, e che ribadisce in continuazione: «Più spazio all’occupazione femminile, liberando le donne dal dilemma famiglia o lavoro. Gli esempi da imitare sono diversi, oltre alla Francia da sempre impegnata sulla propria sopravvivenza futura, la Svezia e in particolare la Spagna che ha messo sullo stesso piano i congedi parentali. La Germania ha ampliato e garantito a tutti — già quando era ministra Ursula von der Leyen — il diritto all’accesso ai servizi per l’infanzia. In questo, l’esperienza del Trentino-Alto Adige è incoraggiante. Ma il contributo economico tedesco e persino ungherese è largamente superiore al nostro garantito dall’as- segno unico familiare. Non c’è confronto».

E non c’è troppo margine di manovra, con buona pace di chi sostiene che il calo delle nascite non è per forza un problema: «Senza una vera strategia per l’immigrazione, in combinazione con politiche familiari inclusive, ci si estingue», sentenzia De Bortoli. Il primo modo per essere attrattivi nei confronti di chi vuole integrarsi è diventare attrattivi per chi potrebbe diventare padre e madre ma non lo fa. Alternative non se ne vedono.

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