Nelle urne di Teheran l’ultima speranza di salvare Beirut dalla guerra civile

Di Tempi
31 Gennaio 2008

Se l’elezione del nuovo capo dello Stato libanese è stata rinviata per 13 volte, e anche l’ultimo appuntamento fissato all’11 febbraio rischia di saltare, è perché a Beirut c’è qualcuno che è convinto di poter fare sempre e comunque quello che gli pare senza pagare pegno. Che può permettersi di dire sì alla soluzione proposta dalla Lega araba e poi di boicottarla; di assassinare un dirigente dei servizi segreti che collaborava all’inchiesta internazionale sull’omicidio dell’ex premier Rafik Hariri così come prima aveva ucciso sei deputati della maggioranza antisiriana e il successore designato a capo dell’esercito quando l’attuale, Michel Suleiman, fosse stato eletto presidente; che si gira dall’altra parte quando i terroristi organizzano attentati contro i caschi blu nel Libano meridionale e contro l’ambasciata americana a Beirut. Questi qualcuno sono i partiti libanesi sciiti Hezbollah e Amal e il regime siriano che da anni li protegge e che da sempre interferisce pesantemente negli affari interni libanesi. Quasi certamente l’eccidio di 7 persone nel quartiere di Mar Makhaeil è stato innescato da cecchini antisciiti, esasperati dall’impunità di cui il regime di Damasco e i suoi clientes libanesi sembrano godere. La Siria e gli estremisti sciiti agiscono così perché sanno di godere della protezione di un grande fratello: il regime degli ayatollah iraniani. Perciò la soluzione dei problemi di Beirut passa per Teheran. Il giorno in cui l’Iran comprenderà la follia della sua politica oltranzista, anche Damasco ed Hezbollah cambieranno registro. Giorno che potrebbe essere più vicino del previsto: dalle elezioni politiche del marzo prossimo potrebbero venire grosse sorprese.

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