
Nessuno a casa nostra dopo il tramonto

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Mi consola la saggezza della Chiesa. Sarà sempre più decisiva. Saggezza non significa neutralità, equilibrio acrobatico tra estremismi, ma sicura indicazione di una strada possibile. Mi riferisco a quanto detto dal cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Ad un certo punto era sembrato si affrontassero in cagnesco l’insegnamento del Papa e dei vescovi e il buon senso. Si noti: non parlo di senso comune, il quale è spesso indotto e si trasforma in pensiero unico e stolto (già lo diceva Manzoni), ma di quel sentimento profondo che s’è innestato chissà quanto tempo fa tra la gente italica. Non parlo della furbizia. Quella ne è la deformazione. Intendo proprio il desiderio di essere buoni, e di esserlo davvero, senza consegnare il proprio paese e la propria terra alla rovina.
Ovvio: sto riferendo della questione delle migrazioni, in particolare sul capitolo dei trasferimenti attraverso il Mediterraneo con canotti organizzati da schiavisti i quali passano la loro merce umana alle navi delle Ong. La perfezione del meccanismo prevede un certo numero di morti. Sembra paradossale dirlo: ma è così. Che ci sia un livello di annegati è funzionale alla giustificazione del salvamento organizzato, è il propellente propagandistico necessario per rendere larghe le reti dell’Occidente rispetto alla tratta dei neri. Induce addirittura alla predisposizione di luoghi di appuntamento tra persone caritatevoli e schiavisti. I primi desiderosi di impedire tragedie, e i secondi tesi a massimizzare i profitti e a mostrare, in ossequio al marketing dei miserabili, che le promesse distribuite in Nigeria, Mali, Gambia eccetera sono mantenute.
Francesco ha avuto parole durissime contro la tratta. Bassetti ha spiegato che le leggi – se non sono contro la persona – vanno rispettate. E oggi favorire la tratta è orribile. Il cattolicesimo non pretende un eroismo suicida come regola della vita dei popoli. Ricorderò finché campo padre Lucien Bideaud, redentorista di Grenoble. Lo incontrai a Dori nel gennaio ’84, ai bordi di uno stagno che non c’era più per la siccità. C’era la carestia nel Sahel. Girava distribuendo le sementi in Burkina Faso, dalle parti di Gorom-Gorom. Si era dato un limite: nessuno entrava in casa sua dopo il tramonto. Non faceva salire nessuno sulla sua Peugeot mentre compiva il suo giro. E non per salvaguardare se stesso, ma perché voleva esserci – se possibile – anche la mattina dopo. Così il nostro popolo. Non possiamo spingere lo svuotamento dell’Africa nera. Non siamo in grado di accogliere 500 milioni sui 514 che la abitano e sono poveri.
Foto Ansa
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