
Nessuno tifa per Lia Thomas

«Non deve essere bello sapere che nessuno in tribuna è contento che hai vinto», ammette il padre di una ragazza della Brown. Seduti sugli spalti, l’uomo e la giornalista di Common Sense Suzy Weiss osservano Lia Thomas uscire dalla vasca: ha appena stracciato il resto della sua batteria ai preliminari dei 500 yards stile libero e Weiss vuole sapere cosa pensano i genitori delle ragazze in gara per i campionati della Ivy League, provenienti dalle otto università più prestigiose degli Stati Uniti, quando vedono Lia Thomas vincere, anzi stravincere. Perché Lia Thomas non è come le altre, è un atleta transgender: stessa età ma spalle, peso, altezza, apertura alare, capacità polmonare, ossa e muscoli più grandi e allungati delle coetanee rispetto alle quali sembra una creatura anfibia, decisamente più fluida e veloce in tutte le gare.
La solitudine di Lia Thomas, bandiera trans
Ma la vedono tutti così? «Io vedo qualcuno che sta dando una batosta ad altre persone e questo non è giusto», continua il padre della ragazza della Brown, una delle tante arrivate alla piscina di Harvard straripanti di entusiasmo, pronte immergersi, dare il massimo e fare il tifo per le compagne, agitando cappelli da cowboy, occhiali a forma di cuore, tifando a squarciagola. «Ma vedo anche che nessuno parla con Lia, le compagne di squadra non la incoraggiano. È come un’isola, sola».
Quel giorno, preceduta dalla sua fama e dalle vittorie in Ohio, Lia Thomas, al secolo Will Thomas, prima di identificarsi, tre anni fa, come donna e lasciare i campionati maschili per quelli femminili, vince tutte le gare a cui partecipa: 500, 200 e 100 yards stile libero. Nell’ultima ha anche stabilito un nuovo record per la Ivy League, superando la seconda classificata, Iszac Henig, in gara per Yale, e anch’essa transgender, ma che ha differenza di Thomas ha deciso di posticipare le cure ormonali per transitare da femmina a maschio alla fine del college.
La rabbia e la paura di chiamarla ingiustizia
Quello di Thomas è un film visto solo a metà: Tempi vi ha già raccontato la storia di Terry Miller e Andraya Yearwood, sprinter che si identificano come donne e come tali dal 2017 partecipano (e vincono) tutti i più importanti campionati scolastici e statali di atletica lasciando indietro le coetanee, stabilendo nuovi record, soffiando loro trofei e medaglie. Tra queste Chelsea Mitchell, un tempo la ragazza più veloce del Connecticut, pubblicamente redarguita per avere osato utilizzare un «linguaggio offensivo» per denunciare l’ingiustizia con una tribuna su Usa Today: via la parola “maschi”, sostituita dalla redazione del quotidiano americano con la parola “transgender”. Vi abbiamo raccontato anche la storia di segno contrario di Laurel Hubbard, nato Gavin Hubbard, atleta trans sceso sulla pedana di Tokyo occupando il posto di atlete “cisgender” neozelandesi per fallire tre alzate su tre nel sollevamento pesi femminile ma che con la sua partecipazione alle olimpiadi ha saputo “scrivere la storia” (il titolo più usato dai corrispondenti) mimando un cuore prima di lasciare la competizione.
Ma c’è di più nella vicenda di Thomas: ci voleva il nuoto per portare a galla lo stesso terrore e malcontento che si respira alle latitudini di Hollywood, tra registi e sceneggiatori costretti a fingere di condivider l’ossessione di dover «rendere ogni film il più woke possibile, rendere ogni relazione un mix razziale, ogni personaggio sessualmente fluido».
Posto 462 tra i maschi, numero uno tra le femmine
Non si tratta solo di contestare o meno le politiche riviste dall’organizzazione sportiva universitaria statunitense NCAA, o da Usa Swimming, o ribadire che la riduzione del testosterone pur nel rispetto delle soglie imposte dai regolamenti nel caso di Lia fiacchi di pochissimo un “vantaggio biologico” tutt’altro che marginale in vasca. Quando sedici atlete, compagne di nuoto e tuffi di Lia all’università della Pennsylvania, scrissero al direttore della Ivy League, l’imbarazzo era evidente: come sostenere l’affermazione dell’identità di genere di Lia e allo stesso tempi sottolineare il suo vantaggio competitivo (passare dal 462esimo posto in classifica nelle competizioni maschili al primo in quelle femminili) chiedendo che non le fosse permesso di accedere alle finali senza apparire transfobiche?
La lettera era stata “sepolta” dall’appello di oltre 300 tra atleti ed ex atleti, professionisti o universitari, per chiedere alla NCAA di lasciarla gareggiare tra le donne nonostante il percorso di transizione di Will-Lia non fosse stato completato. Il Post ha riassunto bene la vicenda a proposito di «quello che i giornali americani hanno definito una sorta di scaricabarile tra organi sportivi» e un dibattito che si intensificherà «in concomitanza con i campionati universitari della NCAA in programma ad Atlanta tra il 16 e il 19 marzo» e i percorsi di qualificazione alle Olimpiadi di Parigi 2024.
Tuttavia il dibattito è divampato ben oltre la Penn University e le piscine universitarie: per la tennista Martina Navratilova, che ha twittato esplicitamente «non è giusto che le donne gareggino contro la transgender Lia Thomas», o Caitlyn Jenner, oro alle olimpiadi nel decathlon del 1976 e donna transgender dal 2015, per cui «non possiamo avere ragazzi biologici in competizione con le donne. È un male per la comunità trans», Thomas resta un caso aperto, come “aperta” dovrebbe essere la partecipazione agli sport del futuro per la nuotatrice Diana Nyad, «cisgender, transgender, intersex: tutti sono i benvenuti».
Thomas fa impazzire le élite. Come Trump
Ma agitare la bandiera di Thomas ha conseguenze ben più prosaiche: gli allenatori dei college inizieranno a reclutare atleti trans, capaci di record e prestazioni superiori a qualunque ragazza? Per il bene degli atleti trans bisogna “sacrificare” quello delle ragazze? Qualcuno ha chiesto loro come si sentono? Non se lo chiedono solo i genitori del Connecticut, preoccupati per le borse di studio delle loro loro ragazze, ma anche quelli delle migliori università private americane, vedendo Lia Thomas, oltre 1,80 metri di altezza, svettare in costume da bagno intero e cuffia nera tra le loro figlie, tra proclami a inizio gara sull’importanza dell’inclusione, annunci contro ogni discriminazione razzista omofobica o transfobica.
Genitori colti, con una opinione su tutto e abituati a fare opinione, ultra-competitivi, arrabbiati (per dirla come Suzy Weiss, gente per cui val la pena comprare un costume da bagno da 400 dollari, anche se verrà indossato una volta sola, solo perché potrebbe portare in vasca un vantaggio di un decimo di secondo) e frustrati. Ha ragione da vendere lo spettatore giunto dal Massachusetts anche se odia il nuoto e solo per «fare il tifo per la ragazza della Penn e vedere la testa di tutti esplodere»: Thomas sta irritando e dividendo le élite dalla parte giusta della storia come un Trump qualunque. E nessuno può farci nulla.
«Fingiamo» per paura delle accuse di transfobia
Lia Thomas non parla con nessuno, indossa la sua cuffia nera e siede su una panca di metallo sotto il vessillo dell’Università della Pennsylvania, tra una scatola di barrette alla frutta e una di mascherine. Ha vinto tutto. Sugli spalti i suoi genitori e il fratello siedono eleganti e preppy in camicia e abiti cachi accanto a Schuyler Bailar, atleta trans e attivista transgender che ha organizzato l’appello dei 300 per Thomas definendo “bigotti” chi maschera l’odio per i trans dietro i proclami sull’equità delle gare. Si capisce perché i genitori dell’America bene chiedano a Weiss di non pubblicare i loro commenti, né la madre che prima delle vittorie si diceva contenta che Lia fosse in gara nei panni di se stessa, né quelli delle università avversarie della Penn, «nessuno vuole prendere la posizione dura perché non vuole essere demonizzato», spiega il padre della ragazza della Brown, o della Penn stessa, «mia figlia mi ha chiesto di non parlare ai giornalisti», spiega la mamma di una ragazza che spera di laurearsi in biologia, «non vuole che il mio nome o il suo appaiano su Google in relazione a questa storia».
Le ragazze sanno che è sbagliato che Thomas stia nuotando contro di loro, ma non possono rischiare di essere additate come transfobiche, dicono tutti. La dura legge dello sport la stanno scrivendo attivisti come Bailar, ed è semplice, “se parli di equità odi i trans”. L’allenatore della Penn si è presentato ai 100 yards stile libero con una mascherina con i colori di una bandiera trans. «Politicamente è un conservatore. Adora vincere e ama il suo lavoro», spiega un padre della Penn a Weiss. «Una mamma della Penn mi fissa, “Stanno solo fingendo tutti”».
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