
No alla cultura operaista. Che Liberazione!
In questo periodo caratterizzato da una ripresa delle “lotte sociali” è riemersa in qualcuno l’antica idea di riproporre il concetto di “Cultura operaista”. Tale mentalità non ha mai avuto in realtà una veritiera influenza sulle masse popolari, anzi si potrebbe affermare che non è mai esistita all’interno delle classi subalterne. La stessa è servita, più che altro, a supportare le teorie di qualche intellettuale che, su quel concetto, ha costruito una mistica del lavoro del tutto artificiale. Oggi tale riproposizione appare ridicola e lontana anni luce dalla vita di fabbrica. Nelle grandi aziende industriali gli operai, il più delle volte, non sanno neppure a cosa servirà il prodotto finale del loro lavoro o quali siano i componenti della materia prima che stanno utilizzando. Quest’ignoranza non è però frutto di una loro innata barbarie, ma è il risultato di un’attività lavorativa a loro estranea, del tutto indifferente alla loro natura. L’unico motivo per cui sono interessati a lavorare è la corresponsione del salario. Se si provassero ad ascoltare i discorsi di questi uomini, ci si renderebbe conto che il superamento di questa condizione alienante non trova applicazione in nessun reale progetto d’emancipazione. L’operaio giunto al secondo giorno lavorativo non vede l’ora di arrivare al venerdì sera, senza accorgersi di sperare inconsciamente nel suo invecchiamento. Una contraddizione abnorme per l’uomo che, per sua natura, tende all’autoconservazione. è la corresponsione del denaro l’unica leva motrice. Il bisogno del denaro è il vero bisogno della società in cui viviamo. Se l’alienazione del lavoro può essere considerata la madre di tutte le alienazioni, con l’alienazione delle merci e del denaro la gabbia dell’uomo moderno è eretta. Altro che cultura operaista! D’altra parte – lo so per esperienza – il compagno Curzi non ammette lettere di critica sul suo giornale. In una recente intervista su Capital, affermava che anche la sua redazione non può certo considerarsi proletaria. Quasi compiaciuto constatava che non esistono più i collaboratori-operai che una volta affollavano le redazioni dei giornali di sinistra. Vuoi vedere che Liberazione è un giornale borghese e Tempi un’avanguardia proletaria?
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