
NO ALLA GUERRA, Sì ALL’AMERICA
La straordinaria partecipazione al voto da parte degli iracheni ci interroga pesantemente. Cosa fonda uno Stato rispettoso della libertà della persona? In un clima sovraeccitato, tali domande rischiano di non avere risposte univoche, persino di fronte ad atti di terrorismo efferati come la strage di Beslan o l’uccisione di cinquanta lavoratori immigrati per le strade di Baghdad da parte di Al Zarqawi. Si tratta di domande non accademiche per chi, pur non avendo condiviso le due guerre del Golfo, non è così ingenuo o in malafede da credere che le violenze in Irak siano frutto dello spirito di libertà del popolo iracheno. Non è necessario essere partigiani della rozzezza e della superficialità per capire che il terrorismo fondamentalista, che ha invaso le frontiere irachene anche grazie all’occupazione americana, sta giocando una partita decisiva per la sua lotta ideologica al mondo. In questo quadro il popolo iracheno ha dato una lezione a chi, come Vattimo, più che espressione di un pensiero debole è ormai espressione della sua mente debole.
Il miglior modo per reagire alla guerra, il miglior modo per rispondere alla domanda inerente i fondamenti di libertà e democrazia, è ritornare a essere protagonisti del proprio destino esprimendo senza violenza la propria volontà. Il voto è solo un piccolo tassello di questo cammino che dovrebbe prevedere anche l’affermazione della libertà religiosa, di associazione, economica. Esso tuttavia dimostra che, truppe di occupazione o meno, la strada che consentì pacificamente di uscire dal nazismo sessanta anni fa e, più recentemente, dal comunismo, è valore universalmente valido: la persona, il singolo io è la base di ogni vera convivenza e organizzazione statuale libera. Le decine di iracheni intervistati lo hanno espresso con chiarezza e fierezza.
Viene rafforzata, inoltre, l’opinione di chi continua a pensare che, nonostante i rozzi neocon, gli statunitensi mantengono una capacità di lungo periodo nella difesa delle libertà individuali e collettive incommensurabilmente più grande degli europei guidati da mediocri statisti quali Zapatero, Chirac, Schroeder. Ne trae conforto la politica internazionale del nostro governo che ha sempre perseguito la linea sintetizzata dallo slogan: “No alla guerra, sì all’America”. Soprattutto i votanti iracheni mostrano che la morte dei nostri carabinieri non è stata inutile, ma è stata un sacrificio che ha consentito questo inizio di libertà.
*Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
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