Non basta rimpiazzare Prodi con Veltroni per rifarsi l’immagine

Numerosi commentatori hanno ricondotto il presente sfacelo della politica italiana a un problema irrisolto: la sinistra, unica superstite del ciclone di Mani Pulite, ha mancato di compiere una profonda opera culturale che conducesse i suoi militanti fuori da una visione che vede il “sistema” come qualcosa da abbattere e gli avversari politici come nemici. Al contrario, essa ha continuato ostinatamente a coltivare i vecchi vizi. Ricordate l’intervento con cui Umberto Eco definì il confronto tra i due poli come lo scontro tra l’Italia degli onesti e degli intelligenti e l’Italia dei cretini e dei ladri? Di recente Nicola Rossi ha avvertito che la sinistra del “noi siamo i migliori”, del “We know best”, che si ritiene antropologicamente superiore e pretende di guidare il paese come un genitore guiderebbe un bambino, è viva e vegeta; ed ha ammonito che essa non ha futuro. Ha osservato giustamente che questo è il tema di fondo della campagna elettorale in corso nel Partito democratico e che «il compito più arduo che aspetta il prossimo segretario del Pd» (ovvero Walter Veltroni) è capire che il problema che sta davanti al centrosinistra non è di politiche ma di «cultura politica».
Da parte sua, Veltroni avverte che il «sistema politico istituzionale del paese è al capolinea» e aggiunge che «o affrontiamo i problemi o la governabilità dell’Italia diventerà un problema inaffrontato». La ragione per cui questa affermazione è identica a quella celebre concernente Monsieur de La Palice («un’ora prima di morire era ancora vivo») è che il futuro segretario del Pd non esce dalla metodologia pura e quindi quanto più drammatizza i suoi appelli, tanto più mette in luce la loro totale assenza di significato. Il fatto è che il compito indicato da Nicola Rossi appare già impraticabile per il modo in cui nasce il Pd.
Il governo Prodi sta pagando a caro prezzo la pretesa di mettere assieme esperienze politiche lontanissime, di tenere assieme riformatori moderati e rivoluzionari, laicisti e cattolici, tecnici alla Padoa-Schioppa e personaggi alla Caruso: un’assurdità motivata soltanto dall’idea della superiorità antropologica, dal principio per cui occorre stare assieme a tutti i costi per tener lontani dal potere i mascalzoni e gli idioti. Ma il Pd sta proponendo l’identico schema mascherato da una variante: anziché un assemblaggio di forze politiche viene presentato un assemblaggio di personalità della società civile e politica sotto l’egida di una figura “carismatica” che dovrebbe garantire il carattere unitario dell’esperienza. Ma l’assemblaggio è non meno eterogeneo, mette insieme persone che faticherebbero a incontrarsi per strada, e, per di più, compie un forte recupero, a livello di società civile, di quella sinistra radicale da cui ci si era separati a livello politico.
Non esiste carisma, tanto meno “buonista”, che possa unificare una simile accozzaglia attorno a un progetto coerente, tanto meno che possa risolvere il problema di cultura politica indicato da Rossi. Difatti questo problema appare già alle spalle, poiché stare in un simile schieramento può essere motivato soltanto dall’intento di tener fuori “gli altri” dal potere e non da un progetto condiviso, che non esiste. Gli osservatori più attenti del processo di nascita del Pd, come Nicola Rossi o Michele Salvati, dovrebbero esercitare il massimo di spirito critico ora, senza attendere che qualcosa accada dopo. Difatti già ora è troppo tardi. Ed è certo che il paese può permettersi tutto salvo che ricevere un secondo trattamento sostanzialmente identico a quello in corso.

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.