
Non date calci al denaro
Vi voglio stupire con colori ultravioletti. Come diceva Francis Bacon (che non è l’inventore della pancetta) «il denaro è come il letame, non è buono se non è sparso». Oppure, secondo Cesare Pavese «per disprezzare il denaro bisogna appunto averne, e molto». Sono andato a saccheggiare il libro delle citazioni, come fanno tutti, da Enzo Biagi in giù (o in su, dipende dalla prospettiva), ma gli altri fingono di avere la mente di Pico della Mirandola o di Igor Marini, mentre io lo dichiaro. Come dichiaro che benedetto, per il calcio italiano, è la vile pecunia. Abbiamo per anni e anni e anni affermato il contrario, urlando alla contaminazione tra football e soldi, agli eccessi. È vero, ci sono stati e stanno correndo ai ripari (in tutti i sensi, qualcuno inventandosi anche fideiussioni fantasma). Troppo denaro attorno al calcio: è stato lo slogan che ci ha accompagnato dal secondo al terzo millennio. È il momento di seppellirlo: meno male che ci sono i soldi. È grazie a questi che domenica pomeriggio è cominciato il campionato italiano, è grazie a quelli che domenica sera, uscendo con un pacco di pizze per la famiglia da un posto che avrei ribattezzato il “Bulgari della quattro stagioni”, ho risentito parlare di Vieri, dell’Inter che stenta ma vince, della Juve che vince ma non gioca benissimo, nel primo tempo, del Milan che si è pappato pure la Supercoppa e ha comprato un tale con un nome che è un programma: Kakà.
Ma la serie A è iniziata
“Troppi soldi nel calcio” ci hanno ripetuto per anni, da quella volta che il Berlusca portò i giocatori del Milan al primo raduno della sua avventura calcistica con gli elicotteri, mentre andava a tutto volume la Cavalcata delle Valchirie e a qualcuno parve di vedere, nella foschia dell’estate milanese, la pelata del colonnello Kurz in fondo al Mekong (rif. Apocalipse Now). Non era un miraggio, ma la testa di Adriano Galliani. Troppi soldi nel calcio è la salvezza di questa stagione: il campionato di serie A è cominciato perché ci sono i soldi, perché gli sponsor, specialmente i più importanti, hanno investito nelle maglie, nei rettangoli che appaiono dietro i protagonisti durante le interviste. Altrimenti eravamo tutti a fare amichevoli come le squadre di serie B, incavolate perché invece di 20 si sono trovate in 24, ma in realtà perché di soldi ne hanno sempre meno.
Mistero Carraro
Non è stata l’estate del Catania, ma della fine di un modello di pensare lo sport, la fine del cosiddetto “dirigismo dilettantistico”. Lo sport (e il calcio in particolare) aveva sempre rivendicato la capacità di risolvere in proprio i suoi problemi di regole e giustizia, di far rimanere le controversie nell’ambito dei propri organi giudicanti. Poi, un giorno, il Siena ha schierato tale Martinelli contro il Catania e tutto ha cominciato a rotolare verso la fine dello sport che pensa di poter sopravvivere grazie a se stesso e all’abilità dei propri dirigenti. Quest’idea è stata spazzata via dall’estate dei Tar. Un Tar tira l’altro, come dice lo scioglilingua e il Governo è dovuto intervenire, togliendo la possibilità ai giudici-tifosi, come il mitico Zingales di Catania, di stravolgere risultati e classifiche a proprio piacimento. Qui non interessa entrare nel merito della vicenda, che ha annoiato tutti a parte i tifosi del Catania, quanto raccontare a che cosa ha portato. Alla sconfitta dei dirigenti come Franco Carraro, che resta al suo posto perché il Berlusca (tramite il fido Letta) lo ha protetto dai cattivoni di An che volevano (e vogliono ancora anche se stanno momentaneamente ibernati) cacciarlo a pedate dalla poltrona. Se ci riuscissero sarebbe un record mondiale: Carraro se n’è sempre andato da un posto solo perché lo ha deciso lui. Carraro è sempre stato il prototipo del dirigente dilettante, quello che nella vita amministra ministeri, comuni, aziende, banche, condomini, campi da golf e, siccome è bravo, con la sinistra tiene a bada lo sport nazionale. Beh, non è più bravo, o lo sport nazionale è cambiato.
Andiamo verso un’oligarchia calcistica?
Carraro è stato sistemato lì da Adriano Galliani (delegato da Berlusconi alla conduzione del Milan) e da Antonio Giraudo, il creatore dell’azienda Juventus. Nella loro idea doveva trasportare il calcio verso il modello “i ricchi giocano sul serio, i poveri servono a tavola” e nel contempo gestire l’ordinario. Ma l’ordinario lo ha travolto con il caso Catania e quello delle fideiussioni false che hanno permesso a Roma, Napoli, Spal e Cosenza di iscriversi ai rispettivi campionati. Così il campionato è cominciato perché ci sono i maledetti soldi. Cioè ci sono gli interessi degli sponsor, delle televisioni che pagano fior di quattrini, delle Coppe europee che distribuiscono denaro a pioggia (come il letame di Bacon, ma nessuno ne sente l’odore). Il campionato di calcio è cominciato per questo, altrimenti l’avrebbero ritardato. Carraro stava lì per traghettare il calcio italiano com’è adesso (128 club professionistici, una mostruosità) a quello del futuro, verso quella Superlega dove i miracoli Chievo, Casteldisangro, AlbinoLeffe non saranno più tollerati. Il disegno è chiaro e lo ha illustrato proprio Giraudo che ha votato contro in Consiglio Federale all’allargamento della serie B a 24 squadre, ma, una volta passata questa decisione, ha appoggiato l’anomalia del ripescaggio della Fiorentina per “meriti tecnici, sociali e sportivi”. I tifosi di Fiorentina e Juve non si possono vedere, ma “la Viola” sta in B perché Giraudo e soci vogliono nella nascente Superlega le città con i grandi bacini di tifosi, con la gente che paga abbonamenti Tv.
Una B al di sopra delle possibilità
La serie A è cominciata perché ci sono i soldi e meno male, altrimenti stavamo a menarcela con Fassino e il burattinaio e con le inchieste “vi spieghiamo tutto noi” di Repubblica (un quotidiano sempre più enciclopedico, basta vedere la promozione di quest’anno). Carraro doveva gestire il passaggio che avverrà tra due anni al termine dell’accordo di mutualità che passa 90 milioni di euro all’anno alla serie B. La ribellione della B, oltre che giustificata dall’umana rabbia per la grande fregatura che le hanno tirato, è una lotta per la sopravvivenza. La mutualità, cioè la distribuzione dei soldi dai ricchi ai poveri, è finita. Adesso la serie B produce 1 euro e un altro glielo danno i club più forti, per contro ne spende tra 3,5 e 4. La pacchia è finita, nessuno ha una serie B (e una C) come la nostra. I club inglesi di B, a parte quei cinque o sei che fanno avanti e indietro, sono poco più che dilettantistici. Questa è la strada voluta dai grandi e che Carraro doveva gestire gradualmente. Però il caso Catania lo ha travolto, accelerando i tempi, per questo la serie B è in rivolta. L’onore conta, ma in gioco c’è ben altro. La Superlega dovrà ruotare attorno ad alcuni punti fissi: Juve, Inter, Milan, Lazio, Roma, Napoli, Parma, Fiorentina, Genoa e Samp, Bologna, Udinese, Bari, Palermo. Le altre dovranno inventarsi qualcosa o spariranno. Il calcio che è cominciato domenica ha lanciato un segnale: è il calcio dei soldi, ma i soldi li producono le società che hanno tifosi, seguito, possibilità. Come diceva Governale: «Quanto più i quattrini aumentano, tanto più ne cresce la voglia». È per questo che il calcio è cominciato e così ci ha fatto subito divertire. Perché più c’è spettacolo nel pallone, più ne vogliamo. Soldi benedetti.
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