
Non esiste ancora la “scuola per tutti”

Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
«Vogliamo qualificare la scuola pubblica o no? Siamo d’accordo che “pubblica” è una scuola che non ghettizza nessuno, libera e aperta al servizio di tutti? E siamo d’accordo che “aperta a tutti” non significa portoni spalancati con le chiavi dai bidelli, ma significa “per tutti”, che raggiunge tutti?». Luigi Berlinguer lo va ripetendo da vent’anni che «la scuola è una, una sola. Chi la gestisce è del tutto secondario: statali e paritarie sono pubbliche, il sistema nazionale di educazione è uno solo e obiettivo prioritario dello Stato è espanderlo. Quello che non abbiamo capito – lo dico a noi di sinistra – è che la “scuola per tutti”, la scolarizzazione di tutti, è la battaglia più progressista, urgente e necessaria oggi in Italia».
Dal 1996 guida del dicastero della Pubblica istruzione e, ad interim, dell’Università e della ricerca, per proseguire sino al 2000 come ministro della Pubblica istruzione, Berlinguer è rimasto il padre della legge 62, approvata il 10 marzo del 2000, sulla parità scolastica. E anche oggi, che presiede il Comitato per lo sviluppo della Cultura scientifica e tecnologica e il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti, e che perdurano trattative sfibranti e polemiche furibonde per veder riconosciuti alle paritarie due soldi dallo Stato, continua a difenderla.
«Non c’è niente da discutere – dice a Tempi –, la querelle sul famigerato articolo 33 della Costituzione che consente a enti e privati di istituire scuole e istituti di educazione “senza oneri per lo Stato” è superata da un pezzo: significa che non si possono pretendere oneri per lo Stato ma se lo Stato decide di prendere iniziative nessuno glielo può impedire e su questo si è pronunciata anche la Corte costituzionale. Punto. Non c’è nessun divieto, non c’è nessuna proibizione, la facoltà di intervenire è prevista nell’ordinamento. La questione è un’altra».
I dati drammatici
Berlinguer ripercorre con Tempi le ragioni che vent’anni fa lo portarono a introdurre la più radicale delle riforme: «Il 10 marzo del 2000 abbiamo affermato che esiste una sola scuola e che la scuola ha sempre una finalità pubblica. E che la priorità della Repubblica è l’espansione dell’offerta formativa e la conseguente generalizzazione della domanda di istruzione dall’infanzia lungo tutto l’arco della vita. Perché l’istruzione riguarda tutti i cittadini, senza distinzioni. E gli alunni di una scuola o dell’altra, a gestione privata o statale, sono tutti uguali. E guai a introdurre distinzioni artificiose. Siamo arrivati a questo obiettivo, ad assicurare che l’attività scolastica raggiungesse tutti? No. Lo dicono i dati drammatici sulla scolarizzazione, l’abbandono e la dispersione scolastica: la scolarizzazione non è il cruccio dello Stato italiano. E questo, in un paese che ha approvato delle riforme radicali e delle leggi per riconoscere il diritto all’istruzione, condizione di sopravvivenza di ogni economia e società nel suo complesso, è gravissimo».
Per assolvere il compito educativo non basta trasferire cognizioni, pacchetti di competenze ben infiocchettati, come li chiama il professor Berlinguer: «Senza affettività non c’è scuola, non c’è studio vero, non c’è corrispondenza. Io dico sempre che non c’è scuola senza eros, partecipazione attiva del discente, sollecitazione delle sue propensioni, inclinazioni culturali. La scuola deve attrarre e non respingere perché la scuola-purga, imposta come un dovere dall’alto, è fallimentare».
Se uno è di sinistra
Ma non c’è spazio, da noi, spiega Berlinguer, per la scuola sinonimo di avventura, amore per il bello e libertà, in un paese che non riconosce alla scuola un ruolo sociale ideale e costruttivo al di là dell’obbligo, che vede ogni iniziativa e intrapresa personale come un intralcio a non si capisce quale malinteso concetto di libertà e laicità. «La legge 62 parla esplicitamente di “diritto all’istruzione”, diritto che la Costituzione afferma “fra le righe” proprio quando afferma che la scuola è aperta a tutti. Ripeto: aperta non significa “con le chiavi”. Significa che lo Stato deve darne accesso a tutti. E che l’indirizzo generale di tutte le scuole, statali o paritarie, è un indirizzo comune: quello della promozione e dell’acculturazione dei giovani, dei discenti. E questo significa che non è più il tempo di rivangare ciò che fino a vent’anni fa è stato materia di enorme scontro tra radicali di sinistra e conservatori di destra: non ci sono più distinzioni tra gestori, la scuola ci riguarda tutti. E siccome ci riguarda tutti, così come le paritarie non possono pretendere finanziamenti, lo Stato non è escluso dalla facoltà di intervenire e aiutarle anche economicamente. Se questo concetto diventa finalmente chiaro avremo la possibilità di mobilitare scuole statali e non statali in uno sforzo comune: un’alleanza per promuovere un aumento della scolarizzazione. E io credo che questo debba essere il primo obiettivo, l’obiettivo fondamentale, di chiunque si consideri di sinistra, progressista, aperto di mente e capace di guardare al futuro».
Realizzazione della persona
La sfida è puntare alla creazione di una struttura scolastica che sia in grado di valorizzare le diversità e offrire al suo interno un cammino per la crescita di ciascun bambino, ciascun ragazzo: itinerari di apprendimento diversificati che realizzino per ciascuno la conquista del sapere. Nessuna imposizione, promozione, gratuità, ma luogo di passione e libertà, docenti reclutati per compiti calibrati sulle funzioni che devono svolgere, studenti animati da un interesse che maestri e insegnanti sanno e hanno la possibilità di risvegliare. Un luogo libero, che non significa privo di regole e controlli, ma che sappia garantire le condizioni per la piena realizzazione della persona.
«La legge per costruirlo c’è. Dice che però le paritarie chiudono? Ebbene, stanno diminuendo in assoluto le iscrizioni a scuola, non solo nelle paritarie. I ragazzi, i bambini, non arrivano alla fine degli studi, il tasso di abbandono è spaventoso. E dovrebbe spaventare in primis uno Stato che vuol dirsi tale e responsabile, che punti quindi ad aumentare il numero dei suoi studenti. Non a ridurlo in tutti i tipi di scuole. Aumentarlo nelle statali e non, riducendo semmai le distinzioni. Serve una presa di coscienza seria, perché serio è il problema della scuola e l’unica distinzione ammessa per affrontarlo è tra chi fa bene o chi non fa bene scuola, tra scuola che funziona e scuola che non funziona. Indipendentemente da chi le gestisce. Si chiama qualificazione dell’attività educativa. E ripeto, non è una battaglia, è “la” battaglia per il futuro e lo sviluppo del paese».
Nel resto d’Europa
«Tutti gli Stati più evoluti in Europa – nota l’ex ministro Berlinguer – hanno accettato e vinto la sfida. Non ce ne è uno, penso a Inghilterra, Germania, Francia, Olanda e Svezia, che non l’abbia affrontata con spirito innovativo. In Olanda, le scuole statali rappresentano solo il 30 per cento del sistema di istruzione, il resto è rappresentato da scuole nate dalle più diverse iniziative. E il sistema nel complesso va bene, va molto bene. È a questo che deve puntare una società che vuol dirsi adulta e capace: liberare la scuola dalle vecchie distinzioni, ripartire dai ragazzi. Non prendere posizioni a dir poco avventurose contro il diritto delle sue scuole e dei suoi studenti ad avere pari dignità e opportunità, diritto sancito dalla legge da almeno vent’anni».
Foto Ansa
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