PER NON PERDERE LA MEMORIA

Di Marina Corradi
24 Giugno 2004
Cordoba, estate 2003.

Cordoba, estate 2003. Nella cattedrale nel cuore della Mezquita sono intagliate in pietra grezza ai lati del coro le figure di 46 martiri mozarabi, ispanici arabizzati, cioè “dhimmi”, gente soggetta a un tributo, ma teoricamente protetta. Invece, solo nell’emirato di Abdul-Rahman II, secolo IX, 46 martirizzati per non avere voluto rinnegare Cristo. Ma l’insegnante che conduce in gita la scolaresca francese nella cattedrale ha fretta: quei 46 nomi, “martiri romani”, spiega, e già si volta verso l’uscita, seguito dai ragazzi distratti.
Ha poca memoria, l’Occidente, dei martiri cristiani dell’islam. C’è una vulgata che va per la maggiore: che nelle terre di Maometto vigesse sostanzialmente una benevola protezione dei dhimmi cristiani ed ebrei, cittadini sì di seconda classe, tuttavia accolti e tutelati. Un libro del giornalista Camille Eid, A morte in nome di Allah, Piemme edizioni, dà una spallata a questo confortante luogo comune. Per archivi e soprattutto per fonti storiche musulmane Eid, che è di origine libanese, ha recuperato notizie anche inedite di lontane e attuali persecuzioni. Ha contato, oltre agli stermini di massa, oltre 500 casi di martirio. Oscuri, di cattolici, protestanti, greco ortodossi, spesso non canonizzati. Tutti comunque uccisi nei secoli per non avere rinnegato Cristo di fronte all’islam.
Genocidi, stragi: Libano, 1860: 22mila morti, 100mila profughi, 360 villaggi e 560 chiese distrutte. L’Europa di Napoleone III che infine decide di intervenire. Quanti di noi ricordano di aver studiato non distrattamente questa pagina a scuola? E chi sapeva, prima della beatificazione, la storia del cappuccino Marco d’Aviano, che il 12 settembre 1683 salvò Vienna dalla minaccia ottomana?
L’Europa di corta memoria si stupisce ora delle decapitazioni degli ostaggi occidentali mandate come minacciose e-mail all’Occidente, via Internet. Nulla di nuovo. Un’antica abitudine a una ferocia che non riconosce, nella vittima, un uomo. Nell’elenco dei giustiziati di Eid, fortunato, vien da dire, è chi trova rapidamente la morte con un colpo di lama.
Le reliquie dei martiri, nei secoli, venivano acquistate per qualsiasi cifra. Ripescati i corpi nel profondo del mare, e i fazzoletti intinti nel sangue dei giustiziati. Chi li portava con sé, come avvenne a un ricco mercante con la reliquia di Romano di Carpenissi, si convertiva o addirittura abbracciava la vita monastica. Per millenni, una muta devozione ha accompagnato le reliquie.
E, di fronte alla furie, si sono levati uomini come il vescovo armeno Ignazio Maloyan, che nel 1915 marciò con 400 fedeli e 14 sacerdoti nel deserto, in esilio. Coi resti del pane secco, l’ultima Eucaristia. Poi, il massacro.Nella cattedrale nel cuore della Mezquita sono intagliate in pietra grezza ai lati del coro le figure di 46 martiri mozarabi, ispanici arabizzati, cioè “dhimmi”, gente soggetta a un tributo, ma teoricamente protetta. Invece, solo nell’emirato di Abdul-Rahman II, secolo IX, 46 martirizzati per non avere voluto rinnegare Cristo. Ma l’insegnante che conduce in gita la scolaresca francese nella cattedrale ha fretta: quei 46 nomi, “martiri romani”, spiega, e già si volta verso l’uscita, seguito dai ragazzi distratti.
Ha poca memoria, l’Occidente, dei martiri cristiani dell’islam. C’è una vulgata che va per la maggiore: che nelle terre di Maometto vigesse sostanzialmente una benevola protezione dei dhimmi cristiani ed ebrei, cittadini sì di seconda classe, tuttavia accolti e tutelati. Un libro del giornalista Camille Eid, A morte in nome di Allah, Piemme edizioni, dà una spallata a questo confortante luogo comune. Per archivi e soprattutto per fonti storiche musulmane Eid, che è di origine libanese, ha recuperato notizie anche inedite di lontane e attuali persecuzioni. Ha contato, oltre agli stermini di massa, oltre 500 casi di martirio. Oscuri, di cattolici, protestanti, greco ortodossi, spesso non canonizzati. Tutti comunque uccisi nei secoli per non avere rinnegato Cristo di fronte all’islam.
Genocidi, stragi: Libano, 1860: 22mila morti, 100mila profughi, 360 villaggi e 560 chiese distrutte. L’Europa di Napoleone III che infine decide di intervenire. Quanti di noi ricordano di aver studiato non distrattamente questa pagina a scuola? E chi sapeva, prima della beatificazione, la storia del cappuccino Marco d’Aviano, che il 12 settembre 1683 salvò Vienna dalla minaccia ottomana?
L’Europa di corta memoria si stupisce ora delle decapitazioni degli ostaggi occidentali mandate come minacciose e-mail all’Occidente, via Internet. Nulla di nuovo. Un’antica abitudine a una ferocia che non riconosce, nella vittima, un uomo. Nell’elenco dei giustiziati di Eid, fortunato, vien da dire, è chi trova rapidamente la morte con un colpo di lama.
Le reliquie dei martiri, nei secoli, venivano acquistate per qualsiasi cifra. Ripescati i corpi nel profondo del mare, e i fazzoletti intinti nel sangue dei giustiziati. Chi li portava con sé, come avvenne a un ricco mercante con la reliquia di Romano di Carpenissi, si convertiva o addirittura abbracciava la vita monastica. Per millenni, una muta devozione ha accompagnato le reliquie.
E, di fronte alla furie, si sono levati uomini come il vescovo armeno Ignazio Maloyan, che nel 1915 marciò con 400 fedeli e 14 sacerdoti nel deserto, in esilio. Coi resti del pane secco, l’ultima Eucaristia. Poi, il massacro.

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