Non sono i numeri a spaventare gli studenti. È chi li insegna

Parliamo di università. Da qualche tempo si lamenta il crollo delle iscrizioni alle facoltà scientifiche e giustamente ci si preoccupa: un paese avanzato non può restare tale con un numero così basso di laureati in materie scientifiche. La spiegazione del fenomeno è stata ricondotta a una leggenda metropolitana e cioè che le deboli basi in matematica fornite dalla scuola superiore spingano molti giovani a scartare a priori l’idea di iscriversi a una facoltà scientifica; e si è fatto riferimento a un improbabile sondaggio secondo cui l’Italia sarebbe superata da non so quanti paesi sottosviluppati in fatto di preparazione matematica degli studenti. Per confutare una simile ridicola “spiegazione” si osservi: che la facoltà di Ingegneria non è affatto in declino di iscrizioni, pur richiedendo conoscenze di matematica non inferiori a quelle delle facoltà scientifiche; che sono in declino di iscrizioni Biologia e Chimica, che ne richiedono assai di meno; che il fenomeno è mondiale.
In Italia, la situazione è grave non soltanto per le materie scientifiche. A causa della riforma berlingueriana che ha trasformato lo studente in “utente” con molti diritti e nessun dovere, i giovani che escono dalla scuola superiore sono ignoranti di tutto: non sanno neppure se Dante sia vissuto nel Duecento o nel Novecento e confondono la guerra di secessione con la guerra del Vietnam. Il motivo per cui scartano la prospettiva di iscriversi a un corso di laurea scientifico (anche a quelli che non richiedono conoscenze di matematica!) è dovuto alla tendenza a presentare la scienza in modo esclusivamente orientato verso le applicazioni tecnologiche, come se scienza e cultura non avessero nulla a che fare. Il risultato è che chi ha a cuore una prospettiva culturale – ed esistono ancora giovani che nutrono simili idealità e non mirano soltanto a un diploma per far soldi! – s’iscrive a Lettere e Filosofia (o ad altra facoltà umanistica) e gli altri alla facoltà di Ingegneria, poiché è largamente diffusa la convinzione che soltanto gli ingegneri trovino lavoro.
Ho organizzato per alcuni anni cicli di conferenze di cultura scientifica in alcuni licei romani verificando che una presentazione della scienza come un’impresa conoscitiva e non meramente tecnica incoraggia molti giovani a scegliere una facoltà scientifica. È quindi la cattiva immagine della scienza a favorire gli effetti lamentati. E alla diffusione di questa immagine contribuisce uno stuolo di pessimi divulgatori. Inoltre, l’idea che la scienza debba conformarsi supinamente alle esigenze applicative e alle richieste immediate del mondo della produzione è sciocca e ignorante: il primato scientifico-tecnologico europeo fino alla prima metà del Novecento si è basato sull’idea esattamente opposta ed è conformandosi al medesimo punto di vista che questo primato è passato agli Stati Uniti.
Qualcuno ha proposto di risolvere questo stato di cose affidando la gestione della ricerca scientifica a un ministro scienziato. Ma non è affatto detto che un ottimo scienziato debba essere anche un buon ministro. Napoleone nominò ministro il celeberrimo matematico Pierre-Simon Laplace. Fu costretto a licenziarlo dopo tre mesi con la motivazione che «aveva portato nelle questioni dello Stato lo spirito dell’infinitamente piccolo».

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