Novecento.Atto I

Di Valenti Francesco
21 Luglio 1999
Il conto che la storia del ‘900 presenta alla fine della Seconda guerra mondiale

Un bilancio della storia d’Europa alla metà del Novecento è un bilancio di barbarie sociale e politica, di morti in guerre mai prima tanto sanguinarie, di vittime e di persecuzioni tali da far pensare che il secolo apertosi per la realizzazione del fine della Storia in nome del progresso potesse divenire il collasso della Storia stessa. Il Novecento sembrò infatti sul punto di non ritorno. Esso aveva cercato di mettere in pratica le teorie del Settecento e le prediche rivoluzionarie dell’Ottocento. Tali teorie ci parlavano di un irreversibile processo evolutivo dall’oscurità alla luce della civiltà. Ma i fatti dei primi quarant’anni del secolo mostravano impietosamente una carneficina di anime e di corpi, compiuta in nome e per conto della raison illuministica da parte di spregiudicati seguaci dei barbuti filosofi dell’età vittoriana, dotati dei mezzi tecnici per l’annientamento dell’intera umanità. Era necessario per costoro liberare l’uomo da ogni forma di male, anche da quello originale, e poco importava il percorso delittuoso che i “capi” dell’umanità dovevano compiere. E’ la situazione descritta da Vasilij Grossman in “Vita e destino”: “La vita non poteva svilupparsi liberamente, bisognava calcolare ogni passo. E per dirigere gli uomini nella respirazione, negli istinti, nei circoli letterari, nelle industrie, nel canto, nell’esercito, nelle escursioni estive, erano necessari dei capi. Insomma la vita aveva perso il diritto di crescere come l’erba, di agitarsi come il mare”.

Uno stato di fervore gnostico, di immenso progetto di eliminazione dell’imperfezione del mondo creato da un Dio distratto, una lotta implacabile contro chi si opponeva a tale soluzione richiedeva uno Stato e degli uomini politici disposti al sacrificio della realtà, anche della realtà di interi popoli e tradizioni. Bisognava andare incontro al paradiso terrestre senza badare ai delitti atroci che riempivano di lutti e di miserie l’Europa. Occorreva un nuovo Principe che portasse su di sé la croce del grande male del mondo, togliendo agli uomini e alle circostanze il fardello di occuparsi della propria vita e del proprio destino. E’ la convinzione religiosa dei Lenin e degli Hitler di appartenere al novero dei grandi benefattori dell’umanità, insieme all’idea, da questa conseguente, che il proprio nemico – divenuto d’improvviso l’incarnazione stessa del male assoluto- è chi non capisce un siffatto progetto di bene, sia pure quel popolo stesso dal quale si è nati.

Due sono i veri nemici dell’uomo che deve ricreare un ordine nuovo per dare un impulso significativo alla storia che procede verso il bene assoluto e immediato: il primo è Dio e il secondo è la libertà di costruire dell’uomo. Come affema Eric Voegelin, “affinché il tentativo di creare un mondo nuovo non appaia del tutto insensato, dev’essere cancellata questa caratteristica di dato che è propria dell’ordine dell’essere: l’ordine dell’essere deve invece venire interpretato come qualcosa che è essenzialmente soggetto al controllo dell’uomo. E questo controllo dell’essere richiede inoltre che sia cancellata l’origine trascendentale dell’essere: richiede la decapitazione dell’essere, l’assassinio di Dio”. Verso la fine della seconda guerra mondiale, qualche filosofo preoccupato del corso inesorabile del progresso storico poteva ancora fingere che l’impulso ideale con cui il secolo s’era iniziato s’era andato via via spegnendo, mentre è fin troppo chiaro a chi vuole guardare che la crisi morale e civile che l’Europa attraversava derivava direttamente dal goffo tentativo di mettere in atto quella “grande riforma morale e civile” che è stata predicata per tutto il secolo. L’illusione che ha caratterizzato la prima metà del secolo è stata quella di “fare in brandelli l’umanità per ricostruirla”, come dice Saint-Just nel celebre dramma di Büchner. Talvolta ci si è espressi con parole più suadenti, nel tentativo di convincere, col sentimento o la serietà, il popolo. Ma molto più spesso su quel popolo, che non si è mai lasciato convincere, si è sparato in nome della giustificazione ideologica (“col pugno di ferro li costringeremo ad essere felici”, recita un manifesto leninista degli anni ’20).

L’ideologia, e in particolar modo l’ideologia rivoluzionaria, ha avuto perciò due direzioni, e cioè la fiducia filosofica nell’inesorabilità del processo storico e la convinzione che il “bene” fosse appena dietro l’angolo della storia che si stava costruendo. Per tali vie e in nome del “bene” presente nelle menti degli ideologi si sono spinti milioni di uomini nel baratro di immani genocidi fisici e spirituali.

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