Oboli di Stato

Di Zottarelli Maurizio
21 Luglio 1999
È stato trionfalmente presentato come un “accordo storico” sulla parità scolastica. In attesa però che la maggioranza ne tragga un disegno di legge da presentare in Senato il 20 luglio (dopo il passaggio in Commissione del 13), alla maggior parte delle associazioni scolastiche appare come un banale sussidio di povertà che non intacca minimamente il monopolio statale. E, anzi, con quattro lire impone nuovi obblighi capestro alle scuole non statali

La prima bordata arriva dall’opposizione appena terminato il vertice di maggioranza di giovedì 8 luglio che sotto la dizione “parità scolastica” ha rubricato una manciata di miliardi a favore delle scuole materne ed elementari non statali e un fondo di sostegno per le famiglie povere. “Il classico imbroglio – dichiara a Tempi la responsabile scuola di Forza Italia Valentina Aprea – Più che a favore della sussidiarietà questo è un provvedimento di solidarietà che distribuisce sussidii di povertà: non ha nulla a che vedere con la parità scolastica visto che non intacca il monopolio statale. Lo avrebbe potuto introdurre anche Livia Turco senza il contributo di Berlinguer visto che rientra in una politica di sostegno alle famiglie povere, molto povere, peraltro. Ma la cornice istituzionale rimane inalterato e non si procede per nulla verso un sistema integrato che permetta alle famiglie di scegliere liberamente l’educazione dei figli”.

Poi, però, mentre le forze centriste della maggioranza sono impegnate davanti ai taccuini dei giornalisti a valorizzare virgole e sfumature del compromesso appena raggiunto, sul fronte delle scuole non statali e delle associazioni scolastiche il malcontento monta come un fiume in piena.

“L’elemosina la lasciamo al governo – attacca don Bruno Bordignon, segretario delle scuole salesiane -. I cittadini già pagano le imposte per la scuola e, quindi, hanno il diritto di scegliere l’istituto che preferiscono: solo questo chiediamo. Quanto ai quattro spiccioli elargiti alle scuole materne si tratta di una discriminazione inaccettabile…”.

Intanto i cattolici di governo esprimono soddisfazione. Il popolare Manzini parla di passo in avanti…

“Manzini non rappresenta le forze cattoliche – continua durissimo don Bordignon – esprime solo un suo parere personale. Il mio è che gli oboli non sono diritti. E la libertà di apprendimento è un diritto. È tipico di un regime cercare il consenso imponendo a tutti il proprio modello di istruzione, con programmi stabiliti dallo Stato, insegnanti inviati dallo Stato… E non si dica che il precariato riguarda solo le scuole private perché ci sono decine di migliaia di insegnanti non abilitati anche nelle scuole di Stato e ne sono stati mandati anche agli esami di maturità”.

Se dall’opposizione la Aprea guarda con “stupore all’atteggiamento dell’onorevole Buttiglione che dovrebbe conoscere bene la differenza tra sussidiarietà e solidarietà”, Stefano Versari, presidente dell’Associazione genitori scuole cattoliche rimanda il giudizio al 20 luglio, giorno del dibattito parlamentare: “Osserveremo con attenzione i comportamenti in aula il prossimo 20 luglio per vedere se quelle forze politiche che si dichiarano a favore della parità manterranno le posizioni inconcludenti di oggi o si impegneranno per una mediazione soddisfacente con l’opposizione schierata sul ddl Tarolli, un buon testo che porta a compimento i passaggi positivi posti nel disegno di legge sulla parità del governo Prodi, mentre il governo se ne esce con pronunciamenti sconclusionati e incomprensibili”.

“Per ora – continua Versari – abbiamo ascoltato una serie di sciocchezze che dimostrano che oltre alle leggi esistenti sul diritto allo studio, i nostri governanti non sanno cosa sia la sussidiarietà visto che la confondono con la solidarietà e sussidiarietà. Che poi le borse di studio consegnate in base al redditometro alle famiglie meno abbienti siano fatte passare per la realizzazione della parità scolastica è un’ulteriore sciocchezza, per di più anticostituzionale visto che la Carta impone che l’istruzione obbligatoria sia gratuita per tutti”.

Anche Angelo Brizzolari, responsabile scuola della Curia rimanda il governo al 20 luglio. “Certo se il testo corrisponde a quanto dichiarato oggi sarà una legge sul diritto allo studio, non sulla parità. Del resto se si volesse la parità si potrebbe già applicare e a costo zero. Per esempio mi chiedo come mai nessun preside delle scuole non statali, con anni di attività alle spalle autorizzata dai provveditori, sia stato chiamato a presiedere una commissione d’esame? Sarebbe stato un piccolo esempio di rispetto e serietà. Invece sono stati chiamati a ricoprire il ruolo di presidenti molti insegnanti delle statali digiuni di ogni corso preparatorio e che hanno finito per combinare più pasticci che altro… Non che questo basterebbe, ma avrebbe segnato una reale ricerca della parità”.

“È uno dei peggiori compromessi cui la maggioranza sia mai arrivata – è il giudizio di Franco Nembrini, responsabile scuola Cdo – Un passo indietro rispetto agli ultimi anni: la stessa piattaforma elaborata da Berlinguer durante il governo Prodi era molto meglio visto che introduceva il concetto di sistema integrato. In questo caso semplicemente il tema della parità non viene affrontato e si contrabbanda una forma di assistenza alle famiglie povere come un intervento a favore delle scuole non statali. Nulla che c‘entri con il diritto delle famiglie di scegliere l’istruzione dei loro figli. E non è un caso che i più soddisfatti siano i leader più antiliberali come La Malfa. In compenso, in cambio di niente, le scuole non statali riceveranno un preoccupante irrigidimento delle regole: per esempio, dovranno assumere solamente personale abilitato. Sanno tutti che il personale non abilitato non c’è perché sono 10 anni che lo Stato non fa concorsi. E infatti anche le statali hanno in servizio decine di migliaia di insegnanti non abilitati. E ora si vorrebbe che le scuole non statali avessero solo personale abilitato: se questa norma dovesse passare vorrebbe dire che da settembre metà del personale andrebbe lasciato a casa con le catastrofiche conseguenze che si possono immaginare”. E il sostegno alle materne? “Bella forza, in Italia l’80% delle materne sono private e lo Stato ha solo interesse a sostenerle”.

“Si tratta solo di un sussidio di povertà. Può essere dato per la sanità, sotto forma di sussidio di disoccupazione o per qualsiasi altro motivo”, osserva ironico Sandro Gigliotti, leader della Gilda, organizzazione di insegnanti che si batte per il riconoscimento del ruolo e della funzione professionale dei docenti e che sottolinea la propria estraneità a un dibattito, quello sulla parità, sul quale, dice, “è il parlamento che deve decidere. In questo caso il sussidio lo si è devoluto sotto la voce “diritto allo studio”. Esula però del tutto da qualsiasi ragionamento legato alla parità scolastica. Sulla quale osserviamo solo che, tanto che si scelga un sistema completamente statale, o uno integrato, il problema fondamentale da affrontare sarà quello relativo alla funzione docente e al principio della libertà di insegnamento e del rapporto tra insegnamento e apprendimento. Altrimenti si rischia di redarre dei piani quinquennali sovietici, dettagliatissimi, ma destinati al fallimento perché dimenticano completamente l’elemento umano”.

E se la Fidae, La Federazione delle scuole cattoliche, sottolinea l’ingiustizia di un accordo secondo cui “l’unico criterio diventa il reddito con il quale si può accedere alle borse di studio e perciò, magari per poco, molte famiglie potrebbero rimanere escluse dai provvedimenti per il diritto allo studio”, e la Cei ribadisce che non è certo attraverso il diritto allo Studio che si attua la parità, colpisce la prudenza esercitata da Mario Viscovi, presidente Faes, associazione vicina all’Opus Dei: “Conviene prendere quel che viene dato: si tratta di un passo importante verso una forma di federalismo fiscale che stabilisce che i contributi per il diritto allo studio siano erogati dalle regioni. Una strada per incoraggiare iniziative come quelle della regione Lombardia o dell’Emilia Romagna. Capisco le critiche avanzate dalle altre organizzazioni e le condivido, ma questo è il primo provvedimento che stabilisce fondi per pagare le rette: e ora non si potrà più tornare indietro”.

In fondo, è proprio quello che teme Rita Calderini animatrice del Cnadsi, che parla di un ulteriore passo verso il punto di non ritorno: “Un contentino dato senza tener conto di nessun principio di merito e che perciò contribuirà al detrimento della scuola tutta, senza distinzioni di statali e non statali. Del resto, tutto quanto fa questo governo sembra mirato a distruggere la nostra scuola”. Evidentemente d’opinione diversa il responsabile scuola della Cgil Enrico Panini: “Certo, prima bisognerebbe poter leggere il testo perché l’utilizzo o meno di determinati termini potrebbe cambiarne completamente significato e valutazione. Comunque, se il testo corrispondesse a quanto finora annunciato, Cgil scuola sarebbe d’accordo perché non si tratterebbe di un finanziamento alle scuole non statali, ma un sostegno alle famiglie senza distinzione derivante dal tipo di scuola frequentata. Del resto parità e finanziamento sono cose diverse: la prima riguarda il riconoscimento di un istituto che può quindi rilasciare titoli di studio; altra cosa è chiedere di finanziare direttamente le scuole. Il che è anche costituzionalmente impraticabile. D’altra parte, credo che si debba garantire un’offerta formativa ricca e adeguata, e rispettare anche le scelte delle famiglie, ma in un settore importante come l’istruzione lo Stato deve mantenere una funzione prevalente. Per una garanzia di pluralismo”.

Già. Rimarrebbe solo da chiarire che cosa si intende per stato. In ogni caso, se gli unici contenti sono i sindacati e le forze più tenacemente avverse alla parità scolastica, un motivo ci sarà. Toccherà ai cattolici di governo spiegarlo.

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