
Ogni mattina un bianco americano si sveglia e finisce in rehab per razzismo

È da più di un mese che si parla degli ormai famigerati corsi antirazzisti con cui il sindaco Jenny Durkan, dopo aver trasformato Seattle in un comune da Arancia Meccanica, intende continuare a raddrizzare il legno storto dell’umanità. Poco si sa di come il culto della rieducazione dell’uomo bianco abbia attecchito a livello federale, travolgendo da un lato amministrazioni di città prossime a smantellare interi dipartimenti di polizia, fino al dipartimento di sicurezza nazionale.
CORSI COME AGLI ALCOLISTI ANONIMI
Ma partiamo da Seattle, dove manifestanti e comune lavorano incessantemente allo smantellamento di edifici simbolici (caserme dei pompieri, carceri riconvertiti in centri culturali “neri”), delle forze dell’ordine e del suprematismo che alberga in ogni uomo bianco. In base a quanto stabilito dall’Ufficio per i diritti civili circa diecimila cittadini – dipendenti comunali, direttori di scuole, ufficiali, impiegati nel settore culturale – devono intraprendere un viaggio nella “superiorità razziale interiorizzata dai bianchi”, partecipando a corsi e sfogliando guide ovviamente per soli bianchi. L’impalcatura di questo nuovo segregazionismo si fonda su una nuovissima idea di giustizia sociale riassumibile in: solo i bianchi posso essere razzisti e tutti i bianchi lo sono, razzisti e privilegiati e tengono bordone al suprematismo bianco. E che devono fare questi sporchi bianchi razzisti e privilegiati? In pratica quello che si fa agli alcolisti anonimi, prima di tutto riconoscere di avere un problema.
DISINTOSSICARSI DAI “WHITE FEELINGS”
Da giorni il giornalista Christopher Rufo, direttore del Center on Wealth and Poverty del Discovery Institute, sta diffondendo i documenti relativi alle “sessioni di formazione” e i materiali distribuiti ai dipendenti comunali, comuni cittadini, ricordiamolo, non criminali in fase di recupero. La nuova ortodossia razziale prevede che i partecipanti si presentino ai formatori spiegando innanzitutto quando hanno iniziato a interiorizzare il loro razzismo. Dopo di che vengono invitati a elaborare i loro “white feelings”, sentimenti di “tristezza, vergogna, paralisi, confusione, negazione”. Quindi a riflettere su come agire per cambiare le cose, ridistribuire le risorse, cambiare chi è al potere etc. Nulla di nuovo insomma, un mega esame di coscienza collettivo per fare i conti con l’ontologica complicità e silenzio che permette alla supremazia bianca di prosperare anche grazie “perfezionismo, intellettualismo, ricerca del benessere, obiettività e individualismo”, qualità prerogative solo dei bianchi e bandite dal Comune. I bianchi dovranno anche a spiegare come le loro “famiglie” traggano beneficio economico dal sistema della supremazia a confessare pubblicamente quando hanno arrecato danno a una persona di colore.
RAZZISTI, RAZZISTI OVUNQUE
Gli screenshot del materiale pubblicato da Rufo ricordano i meme “razzisti, razzisti ovunque”: dal razzismo, sostiene la pseudoscienza propinata nientemeno dall’Ufficio dei diritti civili, non si scappa, è in ogni società (“strutturale”), in ogni organizzazione (“istituzionale”), in ogni relazione (“interpersonale”) e in ogni individuo (“interiorizzato”). Per questo il governo federale deve correre ai ripari. Sempre Rufo pubblica documenti provenienti dal Dipartimento per la sicurezza nazionale volti a sradicare i propri funzionari bianchi dal ruolo di oppressori. Un ruolo bene inquadrato in tabelle e archetipi forniti dai formatori e che girano da tempo nelle università americane fondate sul pensiero di Derald Sue, celebre docente di psicologia americano, figlio di emigrati cinesi e padre di ogni scritto sulle “microaggressioni” da cui non si salva nessuno (per Sue «l’individualismo, l’etica del lavoro protestante, il capitalismo, il monoteismo e [la] tradizione scritta» sono tutte espressioni di razzismo e “monoculturalismo etnocentrico”, e tutti gli americani bianchi hanno ereditato «i pregiudizi razziali dei loro antenati» e tutti i «conservatori sono associati al razzismo moderno»).
«IL COLORE NON CONTA»: RAZZISTA!
Insomma, secondo i formatori formati su Sue, durante una conversazione di dieci minuti i bianchi inviano una quantità di messaggi negativi, “microiniquità” inimmaginabili riassunte in tabelle: chiedere a un latino americano o un asiatico “dove sei nato? “, significa dirgli “tu non sei un vero americano”. Anche chiedergli “come si dice questo nella tua lingua” è razzista. Anche dire “non sono razzista, ho molti amici neri” è indice di razzismo. Anche il mito della meritocrazia è una grave microiniquità: è razzista dire che “quel lavoro dovrebbe ottenerlo la persona più qualificata”, “l’America è una terra di opportunità” o “tutti possono avere successo in questa società se lavorano abbastanza duramente”. Perfino il tentativo di trattare le persone allo stesso modo indipendentemente dalla razza – è razzista, si chiama “daltonismo”. Sostenere cose come “non guardo il colore”, “c’è solo una razza, la razza umana” o “l’America è un melting pot”, è commettere una grave microiniquità razziale. E se un bianco negasse di commettere microinquità razziali? «Sarebbe una “negazione del razzismo individuale”, che dimostra ulteriormente che il dipendente è un razzista. Non è previsto alcun processo; solo colpa basata sul gruppo» avverte Rufo.
SAFE SPACE AZIENDALI PER SOLI NERI
Insomma la “nuova ortodossia razziale”, iniziata nel mondo accademico, si sta ora diffondendo rapidamente in tutte le agenzie federali e così, scrive Rufo su City Journal, il 24 giugno, il consulente Howard Ross ha condotto un corso di formazione per i funzionari delle agenzie finanziarie federali intitolata “Conversazioni difficili sulla razza in tempi difficili”, per chiedere ai dipendenti bianchi di Dipartimento del Tesoro, Federal Reserve, Federal Deposit Insurance Corporation, Consumer Finance Protection Bureau, National Credit Union Association e all’ufficio di controllo di impegnarsi in un’alleanza dopo la tragedia di Gerorge Floyd. Posto che tutti i bianchi contribuiscono al razzismo e pertanto non possono smantellare istituzioni razziste, ai “manager bianchi” viene chiesto di creare «spazi sicuri» in cui i dipendenti neri possano spiegare «cosa significa essere neri» fornendo loro «solidarietà incondizionata».
ABBASSO LA POLIZIA, FORZA MARX
Tornando a Seattle, dopo aver annunciato tagli, licenziamenti, dimezzamento del personale, ora il consiglio comunale di Seattle ha accarezzato l’idea di sostituire il dipartimento di polizia con un “dipartimento per la sicurezza e la prevenzione della violenza a conduzione civile”. Questo perché ovviamente polizia uguale razzismo e suprematismo bianco. Pertanto a difendere la città dai criminali devonoo essere chiamate persone con “competenze rilevanti dal punto di vista culturale” esperte di traumi, affermazione di genere e prassi antirazziste” e bisogna disporre un trasferimento immediato di terra pubblica alle comunità Bipoc (Black, Indigenous e People of Color): forza Marx, insomma. Intanto il capo della polizia Carmen Best ha scritto al consiglio comunale: la sua casa, dove vive con due figlie e il marito, è stata presa di mira dai manifestanti Black Lives Matter. Carmen Best è la prima donna afro-americana a capo del dipartimento di polizia di Seattle. Nel 2019, ha ricevuto il Vision from the Mountaintop Award da Urban Impact per la sua dedizione alla giustizia e alla comunità, oltre a essere stata premiata come “Newsmaker of the Year” dalla Seattle Black Press, è membro dell’Organizzazione nazionale Black Law Enforcement Executives (NOBLE) e della National Latino Police Officers Organization (NLPOA). Una vera razzista bianca e suprematista, non c’è che dire.
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