Ora che l’aborto è un diritto, inutile fingere che sia un dramma

Di Berlicche
12 Marzo 2020
Perfino il diavolo è colpito dalla rivendicazione di Selvaggia Lucarelli in risposta alle parole pro-life di Salvini: «Ho abortito più di una volta, fatti miei»
Selvaggia Lucarelli

Articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.

Mio caro Malacoda, oggi parliamo di aborto.

Quando abbiamo iniziato la campagna per la sua liberalizzazione, in Italia passammo dalla strettoia della “depenalizzazione”, non avrei mai detto che il successo sarebbe stato così esorbitante. Oggi è la prima causa di morte nel mondo, ben di più delle patologie cardiache da tutti citate e del cancro. Lo scorso anno sono morti, causa aborto, 42 milioni e 400 mila bambini.

Cifre ufficiali. Non mi azzardo a gonfiarle con il fenomeno della clandestinità, con il quale si possono dare – e in altri campi si danno, pensa all’immigrazione, all’economia sommersa, all’evasione fiscale… – i numeri che si preferisce. A me 42 milioni e 400 mila sembrano già abbastanza. La portata del nostro successo si misura soprattutto da un fatto, 42 milioni e 400 mila persone (l’intera popolazione di paesi come la Spagna, l’Argentina o l’Ucraina) muoiono in silenzio, senza disturbare nessuno, senza che se ne parli: insalutati ospiti se ne vanno prima ancora che la festa cominci.

Ogni tanto capita che qualcuno faccia cenno alla questione, non necessariamente gente che la pensi allo stesso modo sulla politica: dodici anni fa l’Italia fu scossa dalle scorribande pro-vita di Giuliano Ferrara che del no all’aborto (pur mai chiedendo di abolire la legge che in Italia lo ha depenalizzato, la famosa 194) fece il contenuto di una campagna mediatica per una moratoria internazionale con tanto di petizione all’allora segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon e poi di una “lista pazza” (Aborto? No, grazie) che si presentò alle elezioni politiche del 2008.

L’ha rifatto recentemente, in modo più sommesso, colui che Ferrara chiama «il Truce», Matteo Salvini, il quale durante un comizio ha detto: «Abbiamo avuto segnalazione che alcune donne si sono presentate per la sesta volta al pronto soccorso di Milano per l’interruzione di gravidanza», e ha definito questo «stile di vita» «incivile». E a chi gli chiedeva conto di questa offesa alle donne ha risposto: «Se ritengo che le donne che abortiscono siano incivili? Se si arriva alla settima interruzione di gravidanza significa che si sbaglia stile di vita».

Ferrara era stato contestato in tutte le piazze in cui si presentava con lanci di uova e assalti violenti al palco da cui lo salvarono i carabinieri. A Salvini è andata meglio, è stato sommerso di parole.

Quello che mi ha colpito delle reazioni è l’aspetto rivendicativo degli argomenti e il loro tono spregiudicato e financo sprezzante. Un salto qualitativo al quale, almeno pubblicamente, nessuno ha reagito.

All’inizio della campagna pro-aborto si alternava questa parola contundente con la perifrasi «interruzione di gravidanza», si parlava di tragedia, di dramma umano, di scelta sempre dolorosa per la donna, si argomentava con i casi estremi (la malformazione e lo stupro). Ora la parola e l’atto sono stati sdoganati, sono diventati un diritto. E dell’affermazione di un diritto non ci si vergogna, non ci si addolora per aver fatto valere un diritto, non è una scelta difficile, è un diritto. Il diritto si afferma e basta, e lo Stato deve garantirne l’esercizio.

Emblematica, in questo senso, la risposta a Salvini di una giornalista italiana, Selvaggia Lucarelli.

«Ho abortito. Volontariamente. Più di una volta. Due o cinquanta, sono fatti miei, e in realtà anche quello che nella vita ho deciso di fare del mio corpo erano fatti miei, finché ho sentito che non lo erano più. […] Abbiamo esercitato un nostro diritto, un diritto che non si misura nella quantità e che non si misura nei giudizi regalati a un microfono. Io e così le altre donne. Tutte».

E ancora:

«Potrei raccontarti – scrive rivolgendosi direttamente a Salvini – di aver fatto file in un giorno di inverno in un padiglione squallido, di cosa sia la pillola abortiva e di cosa succeda se non funziona come dovrebbe. Potrei raccontarti di una ragazza che piangeva in un letto d’ospedale e di una che ha preso veloce la sua borsa ed è scappata via sollevata. Di me che ho sofferto o che sono stata fredda, senza mai dimenticare, qualunque fosse il mio stato emotivo, che stavo decidendo per me, che stavo decidendo io, che nessuno poteva e doveva farlo al posto mio».

Il presidente francese Emmanuel Macron, in tutt’altra situazione, ha parlato di «diritto alla blasfemia». Non so perché mi sia venuto questo accostamento. Ma comunque, anche quello dell’accostamento è un mio diritto. O no?

Tuo affezionatissimo zio
Berlicche

Foto Ansa

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