
L’organo, le campane, la sanità lombarda. Lettere a Tempi

Spettabile redazione di Tempi, ho appena letto questo articolo e per la prima volta ho sentito la precisa esigenza di ringraziarvi esplicitamente perché le persone di cui parlate confermano l’umanità di una idea che è venuta anche a me, su scala molto più ridotta e in modo diverso nei contenuti. Io sono un tipo di musicista “fuori moda”: organista in chiesa da oltre trent’anni, nonostante sia milanese di nascita ho iniziato nel lontano 1987 durante le ferie estive in un piccolo paese di 300 anime nelle valli bergamasche, proprio nella zona che sta subendo più duramente il colpo dell’epidemia (testimonianze ascoltate al telefono dicono di una realtà se possibile anche più drammatica di quel che si può leggere sui giornali o ascoltare in televisione). E ancor oggi mi capita spesso di servire come organista quella piccola comunità in cui per storia personale mi sento come a casa. Questi valligiani, nella loro umanità semplice e concreta per cui la fede cristiana è ancora qualcosa che dà consistenza a un popolo, fanno del cantare insieme in chiesa un vero punto di orgoglio: tante volte li ho accompagnati e ascoltati. Cantano insieme, tutti, e forte: dritti di fronte al Signore, portando tutto se stessi in quel gesto la cui cifra più stupefacente è proprio questo “insieme”, tutti insieme. Milano è lontana anni luce da una cosa del genere, anche in tante chiese… Adesso non lo possono più fare: oltre al problema sanitario c’è un vulnus se possibile più grave, vale a dire proprio l’impedimento di questo “insieme” perlomeno nelle forme ordinarie. E oltre al resto non possono neanche più ascoltare la voce dell’organo della loro chiesa: uno strumento antico, che risale al Seicento e dotato di suoni di una bellezza leggendaria, che da secoli accompagna quella piccola comunità e di cui i paesani sono orgogliosissimi. Per motivi legati alla mia attività mi ritrovo in mano uno strumento informatico un po’ particolare: un software che, una volta registrati con pazienza tutti i suoni dell’organo originale, ne permette una virtualizzazione di straordinario realismo. Si attacca una tastiera al computer ed è quasi come essere allo strumento vero. Miracoli della tecnica… Io non sono così “social” come gli artisti citati nell’articolo, non posso fare dirette Facebook o diavolerie del genere. Però posso caricare gli audio che registro qui a casa su una piattaforma creata a questo scopo: e così – ecco finalmente, dopo questa lunga introduzione, il punto che mi interessa – posso mandare agli amici su in paese il link che mi permette di far loro compagnia facendogli ascoltare la voce del “loro” organo, sebbene virtualmente. Al netto della diversità di mezzi e contenuti l’idea è la stessa: usare di quel che Dio mi ha dato con creatività per provare a rispondere umilmente alla realtà in cui ci chiama a vivere ed essere di compagnia a questa gente. I bergamaschi ringraziano: mi sono arrivati messaggi dagli amici in paese che mi dicono chiaramente che il mio tentativo non è a vuoto. Perciò – se ce ne fosse ancora bisogno – mi permetto di incoraggiare anch’io a continuare così, ognuno con i mezzi e le possibilità di cui è dotato. Grazie per il vostro servizio: con stima.
Andrea Bonzi, Milano
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Gentile direttore, in questi giorni, difficili e misteriosi, tutti ci sentiamo spaesati e forse anche un po’ persi. Mai come adesso il diluvio di informazioni e suggerimenti, pur necessari, è direttamente proporzionale al senso di impotenza e di nausea crescenti. Il nemico è infido, impenetrabile e avanza. Io arrivo a spegnere la tv o a interrompere la connessione per non essere inondato da un mulino a vento di parole che, in fondo, accrescono il sentimento di solitudine. Nonostante i pur apprezzabili inni e i sentimenti collettivi di solidarietà. Se, con il coraggio che abitualmente mi manca, scavo a fondo, scopro che sotto c’è altro. Certo, nessuno pensava mai che nel XXI secolo, al culmine del progresso scientifico e dell’autodeterminazione, ubriachi del benessere materiale, un virus microscopico e insignificante ci potesse abbattere. Letteralmente. Ma, al fondo, trovo che emerga la questione più rilevante: la paura ossessiva di guardarmi dentro e di chiedermi su cosa fondo la vita. A parole ho le idee chiare: gli affetti, le amicizie, il lavoro, gli interessi personali, qualche gesto di altruismo e di solidarietà. La realizzazione umana. Eppure non mi basta. Ora, davanti al rischio della morte mia e dei miei cari, improvvisa e inesorabile, sono sgomento. L’urto è troppo forte, e sembra spazzarmi. Ogni sera, ogni istante, mi chiedo cosa possa rendere liete giornate che altrimenti sarebbero solo funeste. Non ho ricette né soluzioni, ma, guardando i volti dei miei tre figli, davanti alle domande pur inespresse, non posso barare. La domanda di significato, che mi costituisce, cresce inesorabile e con essa la ricerca di un volto buono che mi accompagni ogni istante, mi tenga per mano, mi dia prospettiva. A volte penso che il coronavirus sia una sorta di acceleratore di significato: concentra in poco tempo le domande di una vita. Ogni mattina, sempre, mi potrei non risvegliare. Ma solo ora ci penso. Eppure ogni giorno Qualcuno mi dona la vita, la dona ai miei cari e ridesta speranza. Forse solo grazie ad un insignificante microorganismo acellulare recupero la dignità di uomo ridestando la domanda fondamentale, altrimenti assopita chissà per quanto. E rifletto su cosa ha valore, a prescindere da quanto si viva. Rifletto nell’esperienza. Così, posso dire che in questo tempo ho riscoperto il valore del Rosario quotidiano, del centuplo vissuto in ogni circostanza, dell’amicizia che, se vissuta in maniera autentica, è dono divino. Vivo con i figli il sentimento di unità pregando la sera per chi muore e per chi resta. Con un fortissimo senso di gratitudine verso coloro che, con coraggio e passione, rischiano la propria vita per gli altri. E sono tanti a farlo, anche per me. Infine, penso spesso ad un santo, poco conosciuto, ma vero gigante in umanità e passione per l’uomo: Damiano de Veuster. Poteva restare tranquillamente in Belgio, ma decise di andare alle Hawaii, nel lebbrosario-lazzaretto di Molokai. Lì solo malati contagiosi, nel disordine totale, senza nessun aiuto. Lui, armato di breviario e crocifisso, e la devastazione umana e morale. Eppure ha speso la sua vita per persone che neppure conosceva, trasformando i loro funerali in una festa. Un sacerdote che accoglieva uomini sfigurati, nel volto dei quali, diceva, c’era «il volto luminoso di Cristo». La stessa speranza, oggi, può essere ridestata?
Francesco Maria Nocelli, Camerano (An)
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Egregio direttore, domenica ho dovuto spostarmi in macchina per motivi di lavoro: c’era un silenzio spettrale e pochissime persone in giro ovviamente. Seguendo la Santa Messa alla televisione, mi è venuto in mente che è assordante anche il silenzio delle campane. Non potrebbero tutti i giorni ad un’ora definita tutti i parroci suonare le campane di tutte le chiese e chiedere che ognuno di noi faccia qualche minuto di preghiera? Ricordo l’emozione mia e delle persone (straniere) che erano con me qualche mese fa sul campanone di città alta a Bergamo a mezzo giorno: oltre al campanone si sono messi a suonare in contemporanea i vari campanili della città. Ho vissuto un momento di grande emozione e mi sono sentita parte di un grande popolo. Le campane raggiungono anche i paesi più piccoli e lontani ed anche le persone che non sono collegate con i mezzi di comunicazione. Penso che potrebbe essere di grande conforto per gli ammalati in ospedale o a casa, soli o in famiglia sentire le campane e sapere che in quel momento tante persone stanno pregando per loro. Anche per le famiglie potrebbe essere un momento per pregare insieme, sia per quelli che già lo fanno sia per quelli che potrebbero iniziare a farlo. Nella realtà contadina il suono delle campane faceva interrompere il lavoro per un momento di preghiera e il suono raggiungeva anche coloro che erano nei campi. Potrebbe essere un richiamo anche in questo momento di “obbligato” silenzio dalle attività quotidiane.
Ezia Pinetti
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Buon giorno, sono un vostro abbonato da pochi mesi dopo aver sfogliato Tempi a casa di mia figlia. Mi è subito piaciuto come trattate gli argomenti. Adesso che lo leggo tutti i giorni online (e dopo anche quello cartaceo) mi è di grande aiuto per giudicare i fatti di tutti giorni. Grazie a tutti voi. Colgo l’occasione per dire che se la sanità lombarda sta affrontando alla grande questo particolare momento è grazie anche a tanti anni di governo di Roberto Formigoni che ne ha fatto una eccellenza. Grazie.
Roberto Gallo
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Di fronte al drammatico sforzo a cui è oggi sottoposta la sanità lombarda, unanimemente riconosciuta tra le più avanzate, invito a ricordare con gratitudine chi ne è stato uno tra i principali artefici: Roberto Formigoni.
Paolo Cremaschi
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Mi chiedevo se può chiamarsi egoismo il sentirsi non impaurito dal virus e anzi sicuro proprio grazie a lui della bellezza di essere cristiano. La sofferenza e i morti sono lì non per farci rinchiudere nella presunta sicurezza di quattro mura, ma, al contrario, devono aprirci la porta in grado di accogliere, stavolta ci vuole questa parola, l’ALTRO, l’UNICO, l’ETERNO il solo in grado di abbracciarci totalmente per come siamo. Auguri a tutti.
Mauro Mazzoldi
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La Chiesa non è come il cinema (non essenziale), ma è essenziale come il panificio. Come il pane è necessario per il corpo, l’Eucarestia è necessaria per il cuore. Come è consentito in maniera regolamentata l’accesso ai supermercati, così occorre (per chi vuole) consentire e regolamentare l’accesso all’Eucarestia nelle Chiese. Possiamo fare una petizione perché si testimoni che l’Eucarestia non è un bene “non essenziale”?
Antonio Del Puente
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Caro direttore, ho letto con interesse l’articolo sulla scommessa britannica di una strategia alternativa nella gestione del contagio. Noto che anche Francia e Germania hanno finora adottato misure meno draconiane di quelle italiane. Ma il punto dolente di tutti è l’interpretazione dei dati, soprattutto con riferimento al fattore temporale. Fino a un paio di settimane fa, pensavo anch’io che alcuni dei provvedimenti presi dal governo italiano fossero deleteri per l’economia. Tuttavia il passare del tempo e l’andamento dei contagi e soprattutto il tasso di mortalità ormai riscontrabile in iItalia e molto superiore al dichiarato da Cina e Oms mi hanno convinto della necessità assoluta di contenere l’espansione del contagio (o anche solo la sua velocità) per dar modo di al sistema sanitario di sostenere l’impegno a livello di terapie intensive. L’alternativa sarebbe escludere dalle stesse anziani, disabili e persone dalla salute già compromessa. Come settantacinquenne non sono molto d’accordo, meno ancora come padre di un disabile e fratello di due ultraottantenni. Forse non sono abbastanza altruista? Non penso abbastanza al benessere economico delle generazioni future? Se però siete d’accordo con me, posso dare un piccolo suggerimento: non solo pubblicare i dati numerici italiani del contagio, che sono impressionanti di per sé, ma visualizzarli con istogrammi possibilmente corretti, a differenza di quelli reperibili sul sito del principale quotidiano lombardo, alcuni dei quali, penso per involontario errore, appiattiscono le curve di crescita, così da farle apparire meno pericolose. Aiuterebbe i cittadini delle regioni e anche delle province lombarde finora meno colpite a capire che è solo questione di tempo prima che la faccenda degeneri anche a casa loro. Forse accetterebbero più facilmente il sacrificio di starsene a casa. A proposito, riguardati anche tu.
Costante Portatadino
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Caro direttore, lavorando in prima linea non può non colpire uno dei segni di questa pandemia. La cosa più dolorosa per me è il constatare purtroppo che, come è stato detto, “i nostri padri hanno costruito, noi viviamo di rendita. E i nostri figli intaccano il capitale”. Fuori metafora, da medico, vorrei essere ricordato, prima con il mio esempio, poi a parole, per non aver dimenticato i più deboli. Alle generazioni future, infatti, verrà in mente di apostrofare come la nostra sia stata nemica della vita.
«Quando i nazisti presero i comunisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero comunista./ Quando rinchiusero i socialdemocratici/ io non dissi nulla/ perché non ero socialdemocratico./ Quando presero i sindacalisti,/ io non dissi nulla/ perché non ero sindacalista./ Poi presero gli ebrei,/ e io non dissi nulla/ perché non ero ebreo./ Poi vennero a prendere me./ E non era rimasto più nessuno che potesse dire qualcosa» (pastore Niemoller).
Vorrei spendere le stesse parole per i non nati, che, anche in questa fase di “shortage” dei posti letto, non vengono risparmiati affatto. I ricoveri per i candidati non subiscono nessun shortage. Non mi meraviglia l’aborto, tutti noi siamo peccatori redenti, ma come giustificare il fatto che non è equivalente spezzare un ramo, la gamba di un amico a quattro zampe, dotato di recettori neurosensoriali, e quella di un nostro figlio, anche se di poche settimane o giorni dal concepimento? È stato anche detto che dire la verità in un’epoca di “Truman show”, di commedia, di anestesia generale verso la verità, un sussurro in una sala dove tutti stanno zitti, è come sparare uno shot di pistola in uno stadio da calcio. Grazie per aver condiviso il mio dolore, detto male, per mancanza di intelligenza, ma non di cuore, direttore. Grazie per il vostro lavoro quotidiano a favore della verità e dell’amore!
Paolo Gasparini
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Cari amici di Tempi, vorrei proporvi una mia riflessione riguardo a ciò che credo ci aspetti dopo la pandemia. Lo faccio perché voglio essere uno dei primi. Spero con tutto il cuore con Casadei che l’uomo torni ad «accettare la condizione creaturale», e riconosca che «non saranno le tecnologie più sofisticate a salvare gli ecosistemi». Ma finché il mondo sarà nelle mani dei grandi colossi tecnologici, temo che non saranno in molti (oltre a Tempi e pochi altri) a farsi sentinelle di tali basilari evidenze. Finché l’unica speranza sarà che vada tutto bene, torneremo presto come prima: piccole divinità sazie e disperate. Sono convinto infatti che, come negli ultimi vent’anni in miliardi abbiamo spontaneamente deciso di consegnare le nostre vite ai server statunitensi gonfiando il gavettone del big data, così continueremo a fare anche dopo. Di più. Passata la pandemia avremo un ulteriore spinta interiore a farlo, che si sommerà al consolidato desiderio di una vita smart e cool: la paura per un nuovo contagio planetario. Nascerà così un nuovo imperativo morale.Visto che gli uomini difficilmente desistono dal loro desiderio di essere come degli dèi, faremo di tutto per poter continuare a vivere come fringuelli che svolazzano da un paese all’altro: per lavorare, fare all’amore o, più semplicemente, stringere tra le braccia mamma Terra e sentirci grandi. Non vedremo l’ora di consegnare alla Silicon valley anche i nostri dati biomedici, già stoccati oggi dentro i mille gadget del fitness. L’imperativo reciterà più o meno così: vuoi continuare a vivere felice? Lasciati monitorare fin nelle vene dal grande fratello. Vuoi continuare ad essere libero? Fatti schiavo fino in fondo. Ma soprattutto: vuoi che il mondo rimanga un paradiso? Fai un gesto d’amore e consegnati totalmente al sistema. Non sarà obbligatorio per legge; come l’apertura di un profilo social, sarà totalmente una scelta libera e consapevole. E allora sarà la fine. A me oggi, che sono un anti-social e anti-smartphone, al massimo mi danno del primitivo-fuori-dal-mondo (comunque se fossi una star sarei cool), faccio i bonifici con il token a pile, o mi prendo gli insulti di mia madre che vorrebbe tanto chattare con me. Ma domani sarà un’altra musica. Se non ti farai inserire un chip sottopelle che rilevi istantaneamente la presenza di patologie, non sarai più un semplice amante del vintage, ma un irresponsabile e un criminale. Vuoi fare l’idealista che ostenta di fare a meno di certe comodità? Per colpa tua siamo tutti in pericolo.Quindi spero che l’appello di Casadei sia efficace. Non spero che andrà tutto bene, ma che questa pandemia ci incida sul cuore la memoria che siamo creature finite, unico antidoto a tutte le tirannie, compresa la tirannia delle proprie voglie. Ma l’unico modo è che le cose vadano male ancora per un po’. Purtroppo.
Gianni Brasani
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Caro direttore, la nobile scelta del Miur della Didattica a Distanza (DAD), volta ad aiutare gli studenti nel percorso formativo, in un momento di crisi, e attivata con serietà da diverse scuole, presenta, a causa di uno scenario sempre più veloce e complesso, alcune criticità. Le immagini drammatiche che si susseguono, la perdita del lavoro di tante persone, l’aumento del numero delle vittime del coronavirus, tra cui valorosi sanitari e uomini dello stato, pongono, infatti, domande sempre più stringenti ai nostri studenti e a noi tutti sul senso della vita e della morte, sulla possibilità di un percorso futuro, su come stare di fronte a una situazione inedita e inaspettata. Siamo, forse, di fronte alla necessità di un cambio di paradigma: dalla Didattica a Distanza alla Didattica dell’Emergenza. In questa fase, il problema non è tanto l’accumulo di videolezioni, tese ad andare avanti col programma e gli argomenti, ma in primis di tenere conto che dietro i microfoni ci sono cuori che vibrano, che provano angoscia per ciò che accade e ognuno di essi è un volto unico e inconfondibile. Si tratta, perciò, innanzitutto, di ascoltarli e approfondire il rapporto, facendo emergere le loro domande effettive, secondo un rapporto educativo alto e decisivo, non appiattito sul cognitivismo o su logiche passate. Il filosofo Vico diceva che la civiltà ha come sua struttura: culto religioso, nozze, funerali. In questa situazione, le nozze sono rinviate, i funerali sono celebrati, se possibile, dal solo sacerdote e le chiese sono chiuse al culto. Inoltre, lo storico Tucidide descrisse gli effetti della Peste di Atene, facendo notare il collasso del legame civile nei suoi effetti più drammatici: la caduta della pietà verso gli dei e del rispetto tra gli uomini. È necessario perciò sostenere il vincolo nella/della comunità, a mio avviso, indicando testimonianze di vita grande e proponendo interventi a livello educativo, per favorire la coesione sociale e la tenuta dei legami, in questo difficile periodo. La testimonianza di Papa Francesco, con la sua preghiera per l’Italia e la sua quotidiana omelia da Santa Marta, mi sembra pertinente e significativa, a tal proposito, per un percorso umano possibile. E credo anche che gesti condivisi possano aiutare il nostro essere comunità nazionale viva che attiva pratiche comuni di resistenza mentale e resilienza. Sarebbe importante ed educativo, ad esempio, istituire una gigantesca colletta del mondo della scuola (ore lavorative donate, offerte in denaro, ecc) per istituire un fondo nazionale di solidarietà volto ad aiutare strutture sanitarie, ricerca scientifica, famiglie delle vittime del dovere, persone in crisi per la perdita del lavoro, ecc. Potrebbe essere anche importante protrarre il Dantedì fino al 27 marzoo, chiedendo a tutte le scuole di celebrare uno dei grandi dell’Italia, per ricordare a tutti e a noi stessi che siamo figli non del nulla, ma di una grande storia e di tanti padri, che hanno scritto, amato, lottato, sofferto combattendo per un Bene più alto e vero. È doveroso commemorare, inoltre, solennemente le vittime, ponendo particolare attenzione alle storie di chi ha dato la vita per difendere la nostra salute. E non dimenticare l’imprevisto possibile e commovente, che ci educa, e non viene dai potenti ma da quelli più provati: i Siriani e i bambini del Burundi, che pregano per noi. Come talvolta capita, l’universale nasce dal particolare. Ognuno di noi, insomma, può fare la sua parte, affinché il virus non vinca. Cordiali saluti,
Vincenzo Rizzo, Verbania, docente di Filosofia e Scienze Umane
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Grazie, lottate sempre con vigore.
Maurizio D’Ascanio
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Non penso che sapremo mai la verità su quanto è successo in Cina, ma certamente non è la verità quello che dichiarano. Perché i nostri cronisti, i telegiornali continuano a paragonarci con i cinesi? Almeno prendano atto che la verità potrebbe essere molto diversa. In Italia c’è sicuramente un alto numero di morti, ma non paragoniamoci alla Cina! Quando scopriremo la verità sulla Cina sarà terrificante!
Carlo Cacciari
Foto Ansa
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