L’outing dei queer cattolici tedeschi tra asterischi, soldi e ideologia

Un gruppo di 125 persone, tra sacerdoti e impiegati della Chiesa tedesca, chiedono di non essere discriminati. Un altro passo verso la via "sinodale" allo scisma

Il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e Frisinga

Die Zeit, il settimanale non a caso chiamato la «Bibbia dell’intellettualità» tedesca ha pubblicato un servizio sui 125 firmatari (sacerdoti e impiegati della Chiesa cattolica tedesca) che hanno fatto outing, dichiarandosi «queer» e chiedendo una riforma del diritto del lavoro che imponga alla Chiesa cattolica di rivedere le proprie clausole contrattuali.

Lo fa, aprendo con la vecchia strategia del «caso pietoso», che, visto dall’Italia, rasenta i tratti dell’incomprensibilità: «“La referente pastorale che vuole sposare la sua compagna, perde il suo posto di lavoro“, dichiara il parroco Bernd Mönkesbüscher all’agenzia Deutsche Presse, ma “una scelta simile nel 2022 non può rimanere impossibile“».

E, qui, il lettore italiano ha già bisogno di qualche spiegazione, così da poter piangere per la povera referente pastorale. Nei paesi di lingua tedesca (non solo in Germania) si chiamano «Pastoralreferent*in» (l’asterisco in Germania è d’obbligo), cioè «referenti pastorali» (in italiano l’asterisco non serve, perché è un participio, e, a me, ma anche alla Crusca, sembra un po’ ridicolo), degli impiegati, profumatamente pagati dalla Chiesa, per svolgere quasi tutte le funzioni di un parroco e ovviare alla cronica mancanza di sacerdoti: catechismo, liturgia della parola (che in moltissime comunità sostituisce la Messa vera e propria), amministrazione dell’Eucaristia, battesimi, funerali etc.

Il referente stipendiato

Laici/che* con funzioni clericali, ben distinte da quelle dei diaconi, propriamente detti, anche perché, malgrado le insistenti richieste dei progressisti cattolici tedeschi, nella Chiesa cattolica le diaconesse ordinate ancora non esistono, almeno de jure, visto che tra le richieste del «percorso sinodale» tedesco, ovviamente, c’è anche l’ordinazione di preti/e* donne.

De facto, non è infrequente assistere a Messe in cui la referente pastorale sta sull’altare, accanto al parroco (se e quando c’è) e pronuncia parti del canone eucaristico (cosa che non è lecita, non perché siano donne, ma perché si tratta di formule sacerdotali). Quello del/la* referente pastorale non è un brutto mestiere, se si tiene conto che lo stipendio medio (iniziale) dei «referenti pastorali» è di circa 3.500 euro al mese, che scendono a 2.700, se si tratta di apprendistato (dunque ancora da studenti/esse* di teologia), ma salgono considerevolmente, con la progressione di carriera, che è normata dal comune Diritto del Lavoro (dati dell’Università di Münster).

I parroci veri e propri godono di un trattamento economico ancora più vantaggioso, come ovvio, che si aggira sui 60.000 euro annui iniziali (dati dell’Agenzia delle Entrate per la Baviera).

Le tasse ecclesiastiche

D’altra parte, dopo lo Stato federale, la Chiesa cattolica e quella evangelica sono i principali datori di lavoro di tutta la Germania, i cui cospicui bilanci sono alimentati dalle cosiddetta “Kirchensteuer”, le tasse ecclesiastiche, ben diverse dall’8×1000 italiano, dato che si tratta di tasse versate alla Chiesa per il tramite dello Stato che fa solo da esattore, chiedendo, al momento della nascita, a ogni cittadino, tedesco o straniero, di dichiarare la propria confessione religiosa.

Si tratta, quindi, di una tassa in più, eredità dei vecchi concordati ottocenteschi e di quello del 1933, ma, soprattutto, di una tassa alquanto salata, giustamente proporzionale al reddito dichiarato. Per scamparla, l’unico modo è dichiarare il “Kirchenaustritt”, l’uscita dalla Chiesa, che, peraltro, può comportare la negazione dei sacramenti e sinanche di un funerale religioso. «Follow the money», diceva qualcuno, là, dove, invece, bisognerebbe seguire solo Nostro Signore.

Le clausole limitative

Ma andiamo avanti con l’apologetico servizio della Die Zeit, la Bibbia del politicamente corretto in Germania, sulla cui linea si è collocata tutta la stampa mainstream tedesca. La povera «referente pastorale» non può sposare la sua compagna perché la Chiesa cattolica tedesca, come istituzione, ha posto delle clausole limitative, concernenti la condotta privata dei suoi dipendenti, rispetto al comune diritto tedesco del lavoro.

Sono queste clausole che il Gruppo dei 125 vorrebbe far saltare. In sintesi, la Chiesa cattolica, in quanto datrice di lavoro, non dovrebbe inserire nei contratti con cui assume i propri dipendenti delle clausole limitative, per esempio, oggi, quelle che riguardano l’orientamento sessuale o l’esercizio di determinate professioni, ma, un domani, forse anche la necessità per un catechista (sono pagati anche quelli) di insegnare il catechismo cattolico, piuttosto che il Libro di Mormon o la pratica del Voodoo.

Quale coraggio!

Die Zeit, però, la prende alla larga e, pareneticamente, quasi come un parroco della religione progressista politicamente corretta, ci spiega che «si definiscono “queer” delle persone che non sono eterosessuali o che non si riconoscono nelle immagini e nei ruoli tradizionali di uomo o di donna, e neppure con altre norme o regole sociali che riguardano il sesso e la sessualità».

Questa è la premessa, cui segue l’esortazione: «Per una Chiesa senza paura», che si ritrova nel nome dell’iniziativa dei 125: «#OutInChurch Für eine Kirche ohne Angst» («OutIn/nella Chiesa, per una Chiesa senza paura»). E Die Zeit commenta: «Quale coraggio!», riprendendo anche la dichiarazione dell’attrice comica televisiva Carolin Kebekus (una specie di Littizzetto tedesca che, come la sua omologa torinese, non fa ridere, ma ha molto spazio nelle Tv): «È un’iniziativa che mi ha colpito nel profondo del cuore». Anche certi comici*che (non dimentichiamo l’asterisco!) hanno un cuore!

Seguono dichiarazioni solidali di politici di tutti gli schieramenti, di un buon numero di teologi e di vescovi, a sostegno della richiesta di un adeguamento dei contratti con cui la Chiesa cattolica assume il proprio personale. In testa il vescovo di Aquisgrana, monsignor Helmut Dieser, che dichiara che gli omosessuali sono sempre stati «svalutati e criminalizzati» dalla Chiesa cattolica che, per questo, dovrebbe chiedere pubblicamente scusa e modificare le proprie regole (non solo quelle del diritto del lavoro).

Casse piene, chiese vuote

È un altro passo verso la via «sinodale» allo scisma della Chiesa cattolica tedesca, o di una parte di essa, a cui – senza chiamarlo così – monsignor Dieser proclama con orgoglio: «Ci stiamo lavorando». Nella loro testa, per fermare le «uscite dalla Chiesa» (cioè il numero crescente di cittadini che trova il modo di non pagare più le tasse ecclesiastiche) serve tanta apertura e modernizzazione di teologia e diritto canonico, non solo, quindi, il mero adeguamento del diritto del lavoro.

«Follow the money», e sarà tutto chiaro; anche perché, malgrado le aperture dei vescovi tedeschi, le casse saranno di certo ancora piene, ma le chiese, da quelle parti, rimangono desolatamente vuote.

Foto Ansa

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