Papa Francesco: «I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla, ma sono nelle mani di Dio»

Di Redazione
17 Giugno 2015
Commentando il passo evangelico della vedova di Naim, il Pontefice ha parlato dei lutti e della «testimonianza semplice e forte» di come vengono affrontati da tante famiglie.
Papa Francesco in Piazza San Pietro durante l'udienza concessa all'Agesci, Citt‡ del Vaticano, 13 giugno 2015. ANSA / MAURIZIO BRAMBATTI

Papa Francesco nell’Udienza generale oggi in piazza San Pietro ha affrontato il tema dei lutti familiari, ricordando l’episodio evangelico della vedova di Naim, quando Gesù dopo averla consolata («donna non piangere»), fa resuscitare il figlio. «È una scena molto commovente – ha detto il Pontefice -, che ci mostra la compassione di Gesù per chi soffre e ci mostra anche la potenza di Gesù sulla morte. La morte è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. È uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere».

IL PUNGIGLIONE DELLA MORTE. Una simile sofferenza la provano i bambini che rimangono senza genitori. «Quella domanda: “Ma dov’è papà? Dov’è mamma?”. Questa domanda che copre un’angoscia nel cuore del bambino o la bambina. Rimane solo. Il vuoto dell’abbandono che si apre dentro di lui è tanto più angosciante per il fatto che non ha neppure l’esperienza sufficiente per “dare un nome” a quello che è accaduto. ‘”Quando torna papà? Quando torna mamma?”. Cosa si risponde?». È come se si aprisse un «buco nero nella vita delle famiglie e a cui non sappiamo dare alcuna spiegazione», anzi a volte ne incolpiamo Dio.
Ma questa è una prova che ci è data sa affrontare perché «la morte non ha l’ultima parola». Tutte le volte «che la famiglia nel lutto – anche terribile – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. Nella luce della Risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo “pungiglione”, come diceva l’apostolo Paolo; possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio».

È GIUSTO PIANGERE. Da qui nasce la consolazione perché sappiamo che «il Signore ha vinto la morte una volta per tutte. I nostri cari non sono scomparsi nel buio del nulla: la speranza ci assicura che essi sono nelle mani buone e forti di Dio. Se ci lasciamo sostenere da questa fede, l’esperienza del lutto può generare una più forte solidarietà dei legami famigliari, una nuova apertura al dolore delle altre famiglie, una nuova fraternità con le famiglie che nascono e rinascono nella speranza».
La fede è il nostro sostegno, ha proseguito Francesco citando Benedetto XVI, esortando a fidarsi delle parole di Gesù e a non credere alla «visione nichilista della morte, come pure dalle false consolazioni del mondo, così che la verità cristiana “non rischi di mischiarsi con mitologie di vario genere, cedendo ai riti della superstizione, antica o moderna”». È giusto, ha concluso, piangere. Sì, piangere. «Non si deve negare il diritto al pianto, dobbiamo piangere nel lutto!». Lo stesso Cristo è spesso descritto nelle scritture come «profondamente turbato» e «commosso» di fronte alla perdita di amici e cari. Da lui e da tante famiglia abbiamo «la testimonianza semplice e forte» di chi ha saputo «cogliere, nel durissimo passaggio della morte, anche il sicuro passaggio del Signore, crocifisso e risorto, con la sua irrevocabile promessa di risurrezione dei morti. Il lavoro dell’amore di Dio è più forte del lavoro della morte. È di quell’amore, è proprio di quell’amore, che dobbiamo farci “complici” operosi, con la nostra fede! E ricordiamo quel gesto di Gesù: “E Gesù lo restituì a sua madre”, così farà con tutti i nostri cari e con noi quando ci incontreremo, quando la morte sarà definitivamente sconfitta in noi. Lei è sconfitta dalla croce di Gesù. Gesù ci restituirà in famiglia a tutti».

Foto Ansa

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4 commenti

  1. paolorossii

    L’ Enciclica del Papa è meno importante della colletta per Tempi o delle ragioni di Marchionne?
    Non sarà per caso per il fatto che Francesco sta parlando di povertà e ingiustizie? Argomenti indigesti?

  2. Aurelio Pigliapochi

    c’è stato dato il Vangelo e lo dobbiamo vivere senza perdere niente allora vivremo.

  3. paolorossii

    Leggo su altri giornali che il Papa ha anche detto:

    «Riscaldamento globale, cambiamento climatico, inquinamento dell’ambiente, innalzamento dei mari, impoverimento della biodiversità, distribuzione iniqua del cibo, la carenza e il diritto di tutti all’acqua, lo squilibrio tra Nord e Sud del mondo, il dominio della finanza e del consumismo, il rischio di guerre sulla pelle dei più deboli».

    Perché un giornale Cattolico come Tempi, proprio non si occupa di questi problemi, arrivando a snobbare perfino il Papa quando se ne occupa?

    1. Giannino Stoppani

      “Perché un giornale Cattolico come Tempi, proprio non si occupa di questi problemi, arrivando a snobbare perfino il Papa quando se ne occupa?”
      Forse perché Tempi si occupa delle cose che gli altri giornali snobbano?

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