Oggi viviamo senza domani: “Cogli l’attimo!”. Tutto il nostro arrabattarsi si concentra qui. Ma cosa succede quando l’attimo cessa?
Una scena del film L’attimo fuggente
Inizio anno scolastico, liceo sammarinese. Inizio particolare: due ragazzi della scuola qualche settimana prima muoiono sulla strada. Cosa si può sperare dal tempo quando il tempo finisce e lascia muti? Cosa può rendere vivibile l’istante che segue l’ultimo della persona cara?
La nostra storia millenaria è attraversata da due suggerimenti, due tentativi di rendere sensato l’istante. Il primo ha visto un lungo periodo di “evangelizzazione”, come se fosse necessario supportarlo: abbiamo avuto bisogno di ripeterlo nei secoli, come se portasse con sé, dietro il suo fascino immediato e travolgente, una debolezza congenita. Carpe diem. Orazio lo celebra nel I secolo a.C. riecheggiando filosofie epicuree di tre secoli prima: «Evita il dolore!». Lorenzo de’ Medici lo ribadisce sedici secoli dopo: «Godi la giovinezza che fugge! Evita il pensiero del domani!».
Una propaggine di questo fervore missionario arriva fino alle soglie del secondo mille...