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Parole perse / La “pena” di Turetta e il gusto perverso che genera in noi

Di Pier Paolo Bellini
05 Gennaio 2025
La pena non è un gusto, ma una desolazione tanto per i “malfattori” quanto per i “giusti”. Come ha intuito drammaticamente Gino Cecchettin alla notizia dell’ergastolo per l’assassino di sua figlia: «Abbiamo perso tutti»
Filippo Turetta in un’aula del tribunale di Venezia dove il 3 dicembre è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin (foto Ansa)
Filippo Turetta in un’aula del tribunale di Venezia dove il 3 dicembre è stato condannato all’ergastolo per l’assassinio dell’ex fidanzata Giulia Cecchettin (foto Ansa)

“The show must go on”: non solo deve continuare, ma deve spettacolarizzare quanto più può. Si va dalla cucina ai talenti, dalle corsie ospedaliere alla cronaca nera: filone debordante di quest’ultima è lo “Spettacolo della Pena”. Che gusto c’è nel veder punire, nel punire? La pena è una cosa seria, tocca i fondamenti della personalità, dell’educazione, della vita sociale.
Talcott Parsons, uno tra i più autorevoli sociologi ad occuparsi dell’argomento, la descrive come il processo attraverso il quale una società mantiene ordine e stabilità attraverso la triplice procedura da applicare ai devianti: allontanamento, rieducazione e reintegrazione. D’altra parte, anche l’articolo 27 della nostra Costituzione si basa (almeno teoricamente) su questi princìpi, al fine di scoraggiare i reati, impedirne la reiterazione, assicurare una sanzione per il danno arrecato, reintegrare i condannati: in questo modo tentiamo di ricostruire l’equilibrio sociale violato.
Émile Durkheim, funzionalista al pari...

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