Il pensiero classico considerava massima colpa dell’uomo la sua ύβρις, la tracotanza, la tendenza distruttiva a varcare l’invarcabile, ad avere un rapporto “non giusto” con il limite, il dato. In tutte le civiltà antiche, la scomoda relazione con “ciò che non si può fare” ha segnato il criterio originario su cui costruire l’intero sistema culturale, civile e sociale della convivenza umana: le grandi narrazioni hanno cercato di spiegare il “disordine” di questa situazione costruendo miti di grande acutezza, da Prometeo ad Adamo ed Eva.
Da qualche secolo le cose sono cambiate. Non è cambiata la condizione: è cambiata la sua narrazione.
Due acuti psicanalisti e psicoterapeuti, Miguel Benasayag e Gérard Schmit, hanno pubblicato nel lontano 2003 un libro molto interessante su questo argomento, L’epoca delle passioni tristi: «Una società che rende pensabili tutti i possibili è condannata a scomparire».
Il sacro non è arbitrario
Sembra di t...
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