Passaggio in Tunisia

Di Diemoz Caterina
24 Luglio 2003
Vita quotidiana in uno dei più evoluti paesi arabi. Dal paradiso di Djerba ai poveri in fuga verso l’Europa. La presenza cristiana e le opere del vescovo Fouad Twal

Un lembo d’Africa proteso sul Mediterraneo. Un sogno: l’Europa. Un incubo: l’integralismo. Se si gratta la vernice dorata dei villaggi a quattro stelle che svettano sulle sabbie luminose di Djerba e dei paesaggi sahariani celebrati dalle guide turistiche, la Tunisia che ne affiora è qualcosa di più di un paradiso per vacanzieri: è un Paese in lotta tenace e silenziosa contro il fanatismo e ben deciso a proseguire, passo dopo passo, la sua marcia verso Occidente. Una marcia scandita talvolta dai ritmi della disperazione, come mostrano le centinaia di giovani che a bordo di chiatte sfasciate si slanciano, rischiando la vita, verso l’“Eldorado europeo”.

Contraddizioni africane
«La Tunisia è uno Stato libero, indipendente e sovrano e la sua religione è l’islam», così recita la costituzione che guida nove milioni e settecentomila abitanti, disseminati su una superficie di oltre 162mila chilometri quadrati. Ma a quel posto d’onore nel dettato costituzionale, l’islam è bloccato da saldi confini: perché la repubblica presidenziale guidata con pugno di ferro dal presidente Zine El Abidine Ben Ali lo accoglie sì come credo religioso, ma lo rinnega come ideologia e modello di Stato. Lo sanno bene i cosiddetti movimenti “islamisti” repressi con metodi che non vanno certo per il sottile a giudizio del presidente della Lega nazionale per la difesa dei diritti dell’uomo avvocato Mokhtar Trifi, che ha presentato a Tunisi proprio nei giorni scorsi un dossier esplosivo sul trattamento inferto ai prigionieri politici nelle carceri del suo Paese. Ma la Tunisia è anche il primo Stato arabo a essersi dotato di una costituzione e ad aver decretato sin dal 1846 l’abolizione della schiavitù, ed è l’unico che per volere del suo primo presidente Habib Bourghiba ha vietato la poligamia e il ripudio, ovunque tollerate nel mondo arabo, e sancito l’eguaglianza tra l’uomo e la donna di fronte alla legge espellendo così la sharia dai suoi codici.

Come stanno i cristiani
Ma da sempre, accanto all’islam religione di Stato, batte il cuore di una feconda comunità cristiana che, benché drasticamente ridotta dopo l’Indipendenza proclamata nel 1956, può contare su 5 parrocchie, oltre 20mila fedeli e un variegato mosaico di congregazioni di oltre una quarantina di nazionalità di ogni angolo del mondo. A guidare questa cittadella della fede multinazionale e multietnica è il vescovo arabo monsignor Fouad Twal, della tribù beduina di Al Ozeisat che accolse la parola di Cristo sin dagli albori dell’era cristiana, e che dal 1992 regge l’unica diocesi del Paese. Difficile ridurre in cifre il suo fervore di opere, ma ci proviamo: al cattolicesimo tunisino, non senza la cooperazione in più di un caso di un’attiva presenza protestante, si deve la gestione di nove scuole: materne, primarie, secondarie, professionali, complessivamente frequentate da circa 6mila alunni tunisini musulmani. Vi si affiancano sette centri di studi e di documentazione frequentati da studenti e docenti universitari tunisini che tra quei volumi in francese e in arabo scoprono quella presenza cristiana di cui parla ogni pietra antica della loro terra, da Cartagine a Bulla Regia, da Sousse a Sbeitla, ma sulla quale l’istruzione di Stato non ama troppo soffermarsi. La Chiesa coopera anche a sostegno di diversi progetti di sviluppo del Paese a beneficio della sua popolazione più diseredata e gestisce a Tunisi la Clinique Saint Augustin dotata di strutture all’avanguardia, fondata nel 1933 dall’Arcivescovo di Cartagine Georges Lemaitre, che grazie a una serie di convenzioni con enti pubblici garantisce cure e assistenza anche ai più bisognosi. Ma questo Stato illuministicamente proteso verso i diritti civili all’istruzione, alla salute, all’eguaglianza dei sessi (così recitano i variopinti depliant che funzionari zelanti offrono a manciate ai giornalisti stranieri) non pare animato dallo stesso fervore in materia di libertà religiosa. Se l’islam è religione di questo Stato, per le altre c’è spazio solo finché operano nel silenzio. Lo si evince dall’assenza della croce da ogni abito religioso, a Tunisi come nel resto del Paese. Il motivo? Esporre quel simbolo equivale, in Tunisia, a “fare del proselitismo”. Proselitismo è indire una processione, proselitismo è suonare le campane, proselitismo è insegnare la parola di Cristo al di fuori dei luoghi di culto. Così la presenza cristiana si riduce all’essenziale: quella testimonianza che fu l’unico strumento dei primi secoli e che, come un potente distillato, agisce silenzioso e in profondità. «Mi capita talvolta che qualche ex allievo ritorni da me e mi chieda ragione della mia fede, anche se non gliel’ho mai potuta insegnare, anche se in quella scuola in cui siamo comunque presenti con la nostra consulenza pedagogica, l’unica religione insegnata è l’islam». A parlare è una suora salesiana che dirige una scuola materna e un istituto professionale a una sessantina chilometri da Tunisi, pregandomi però di non esaltare troppo il loro operato: anche parlare bene di sé è proselitismo, in questo Paese, e chi lo fa rischia l’espulsione.

Il titolo del Meeting di Rimini
Nulla sembra scalfire l’ottimismo solare e tenace del vescovo di Tunisi monsignor Fouad Twal: «Grazie all’opera spesso nascosta dei membri della nostra comunità e alla generosità degli amici stranieri – spiega – abbiamo cercato di ristrutturare e abbellire chiese, scuole ed altri edifici di nostra proprietà; anche il Ministro per gli Affari Religiosi è intervenuto per restaurare la cattedrale e le chiese di Sainte Jeanne d’Arc; inoltre nuove comunità (cooperanti, sacerdoti, religiose) si sono aggiunti alla comunità diocesana per rafforzarne la testimonianza e il servizio. Il futuro, con l’aiuto di Dio, svilupperà questi orientamenti. Non mancano nuovi progetti a favore di handicappati e bisognosi: la miseria umana non ha limiti e la carità nemmeno. Tra questi, la costituzione di una scuola di mosaico frequentata da allievi tunisini». E a proposito dell’imminente avvio del Meeting di Rimini 2003, di cui è stato ospite nel ‘99, cita il titolo di quest’anno: «“C’è un uomo che desidera la vita e brama giorni felici per gustare il bene?”. Come Giancarlo Cesana rispondo senza esitazione: “Io!”. Tutti possono sottoscrivere questa risposta, ma la storia ci dice che troppo spesso la soffochiamo nella menzogna, nella violenza e nella distruzione. Bisogna guardare al Signore e ai Santi e riprendere ogni giorno il cammino, come ci indica instancabilmente il Santo Padre».

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