
Passato Lenin, resta il “Che fare”
Cari amici di tempi, buon Meeting e buone vacanze. Sono lieto della mia collaborazione con voi che mi è valsa un accusa di pazzia psicoanaliticamente documentata di Simona Argentieri: oltre ad una censura letteraria di Cesare Schegge su Micromega. Tutto per una poesia: la sinistra ha l’umor nero.
Fine di tante cose
Siamo ad un passaggio rilevante dell’avventura che abbiamo vissuto assieme, la lotta per l’uscita dell’Italia dalla cultura di sinistra. E’ strano che questo avvenga in Italia in un modo così singolare, che non ha riscontro in nessun paese dell’Europa occidentale. La ragione è che l’Italia non è stata un paese occidentale nella prima Repubblica se non nella forma politica. Per altri aspetti, essa è stata un paese simile alla Polonia, con posizioni invertite: i cattolici nello Stato, i comunisti nella società; in Polonia i comunisti erano lo Stato, la Chiesa era la società. E perciò noi viviamo i giorni che l’Est visse con la caduta del muro di Berlino: la liberazione dal potere comunista. Da noi c’è stata non il “potere dominante” ma, per usare un lessico ciellino, la “cultura dominante”. La cultura della sinistra è stata dominante in Italia ben prima. E’ stata l’idea dello Stato liberatore nel liberismo di Giolitti e di Croce, nel fascismo (nato da un marxista eretico finito razzista e neopagano) ed infine nella sinistra cattolica e democristiana in tutte le forme, preconciliari e postconciliari che ha conosciuto. Dunque noi lottiamo come Solidarnosc per la liberazione dai comunisti.
Un futuro tutto da scrivere
Questa è la fine di tante cose: dell’unità dei cattolici – utile, purtroppo, per mantenere la sinistra democristiana al potere – e dei partiti socialisti e laici. Nel nostro futuro ci sono pagine non bianche, ma di cui non sappiamo decifrare la scrittura. Ma accanto a questo mutamento singolare, che per noi è la scrittura, accanto a questo mutamento singolare, che per noi è la liberazione dal comunismo, ve ne è un’altra, quella che tutti vivono, la società tecnologica mondiale. Noi sappiamo che ciò ci obbliga a non credere più allo Stato sociale concepito appunto come Stato. Oggi il sociale non si dice più come figura dello Stato. E’ divenuta una funzione di tutta la società, del suo livello di creatività e di produttività. Questa è una sfida diversa ed allora ciò ci impegna ad un lavoro diverso, che è quello di pensare a questa nuova forma di società, ed ovviamente, anche di Stato: vivremo in equilibrio tra la nazione e le regioni, tra il risorgimento e l’antiRisorgimento: come infine i francesi cominciano a vivere il problema della nation, gli inglesi quello della devolution, ma anche il problema delle nuove forme di previdenza, delle pensioni future e delle garanzie di una protezione sociale che non è più una funzione dello Stato. Ed alla convivenza con popoli di altra storia che sono entrati nella storia nostra e nella società nostra, come infine desiderano.
Tutto ciò chiede uno sforzo di pensiero e di cultura politica che oggi ci manca. Il mondo globale conosce un orrore che non conoscevamo più. L’Africa australe è un buco nero con il punto di dramma nell’Africa nord occidentale. Certo, noi dobbiamo vincere alle elezioni, ma infine certo per la libertà. E questo è il punto fondamentale, ma poi esiste un altro problema che è sempre connesso a quello; che fare della libertà?
Forse scrivo come se la libertà avesse già vinto ma so che il governo Amato è il colpo di coda del secolo, il secolo rivoluzionario falsato in chiave socialista da Amato, però penso che vinceremo. Questo ci spinge a pensare al problema di che fare della libertà. Quale cultura creare contro il nichilismo? Una cultura in cui la compassione dell’uomo per l’uomo sia una forma di civiltà. Quando avremo vinto dovremo trovar altre parole che quelle con cui, come credo spero ed amo pensare, abbiamo vinto.
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