
La preghiera del mattino
Il Pd è nato storto, e a Schlein manca cultura politica

Sulla Zuppa di Porro si scrive: «Quando gli si chiede del futuro del Partito Democratico, Ricolfi è piuttosto pessimista: “[Il PD] è nato storto, ma in corso d’opera si è storto ancora di più”. I motivi sono due: “Primo, perché Giorgia – al di là di quel che si può pensare delle sue idee (e dei suoi imbarazzanti alleati) – è più in gamba e più carismatica di Elly. Secondo, perché il Pd è abituato a divorare i suoi segretari: mi stupirei che, alla prima sconfitta elettorale, non facesse lo stesso con Elly».
Ricolfi coglie il problema centrale del Pd: è nato storto. Quel pasticcione di Walter Veltroni per costruire il Pd ha importato le primarie americane, che Oltreoceano servono a individuare il candidato presidente (cioè una figura che va oltre i confini di partito), per scegliere il segretario del partito, cioè un politico che deve tenere insieme un gruppo dirigente. E così un’organizzazione per metà leaderistica e per l’altra metà composta da gruppi e gruppetti eredi dell’ex Pci e dell’ex Dc ha sviluppato una sola principale caratteristica: dipendere “dall’alto”, cioè dall’establishment, da Bruxelles, dal Quirinale, senza una vera anima né nazionale né territoriale.
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Su Firstonline Enrico Morando dice: «Ho sostenuto e continuo a sostenere che il Pd – in questa legislatura – è riuscito a mettere in difficoltà il governo Meloni solo in due occasioni: nel dibattito parlamentare sul MES e nel confronto sull’introduzione, anche in Italia, del salario minimo. In entrambi i casi, si è partiti da una precisa proposta (il disegno di legge sulla ratifica del “nuovo“ MES e quello sul salario minimo); si è lavorato a costruire attorno a quelle proposte l’alleanza più ampia, senza riconoscere a nessuno il diritto di veto (il M5S non ha neppure votato a favore, nel primo caso e Italia viva non ha sottoscritto il disegno di legge sul salario minimo); si è riusciti ad affermare il tema sollevato nel discorso pubblico».
Con tutto la stima che non si può non avere per una persona perbene come Morando, non si può però non costatare che le sue parole rivelano come l’anima che si richiama al riformismo storico della sinistra sia allo sbando. L’idea di presentarsi solo come funzionari di Bruxelles non aveva una grande dignità politica qualche anno fa ma almeno aveva un senso nella lotta per il potere politico quando l’asse franco-tedesco dominava l’Unione europea. Ora esprime solo disperazione. Una corrente riformista nel Pd dovrebbe occuparsi di autonomie territoriali, di un sindacato che torna sui luoghi del lavoro, di garantismo giudiziario, di una politica che regolamenta l’immigrazione. Mettersi al traino della buro-tecnocrazia bruxellese non apre nessuna prospettiva.
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Su Formiche Giorgio Merlo scrive: «La sinistra ideologica è ancora fortemente in ritardo. O meglio, ha subito un processo di progressiva involuzione perché ha semplicemente soppiantato il legittimo e fisiologico confronto politico tra i partiti con la categoria dell’anatema ideologico e del disprezzo dogmatico. Un modello che è funzionale ad un sistema caratterizzato da un “bipolarismo selvaggio” che poi scivola lentamente nella deriva degli “opposti estremismi” ma che era e resta semplicemente alternativo se si vuole rafforzare e consolidare una vera e propria democrazia dell’alternanza».
Naturalmente puntare su uno sfascio dell’Italia provocato da una esasperata polarizzazione su ogni questione o problema può avere qualche chance di successo. La destra ha una classe dirigente difettosa che può commettere anche errori gravi. Il sistema delle influenze straniere può sempre considerare che un governance europea o globale non abbia bisogno di troppi protagonisti, aiutando destabilizzare Roma. Però sullo sfascio non si costruirà niente come ha dimostrato la stagione dominata da Giorgio Napolitano, il cui unico risultato è stato portare un movimento di protesta senza proposte come i grillini al 32 per cento nel 2018.
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Su Linkiesta Carlo Panella scrive: «Elly Schlein contro Marco Minniti, lo scontro non stupisce e racchiude in sé visioni opposte del ruolo della sinistra. La segretaria del Partito democratico ribadisce una visione massimalista, declamatoria, che non sa guardare al mondo reale ed è riferita ad astratti principi, per contro, l’ex ministro dell’Interno conferma una strategia riformista di piccoli passi ma inseriti in un arco vasto di interventi che legano i flussi migratori alle dinamiche dello sviluppo e ai colossali cambiamenti prodotti dalla guerra russa. Non è un caso che il dissidio sia scoppiato sul Memorandum mediato dalla Farnesina e da Palazzo Chigi, firmato domenica scorsa tra l’Unione Europea e la Tunisia. Un documento che segna una svolta, non tanto per la quantità dei capitali che Bruxelles riversa su Tunisi – poche centinaia di milioni, ben al di sotto delle necessità di un paese sull’orlo del default – quanto per la sua struttura articolata che integra per la prima volta il problema dei flussi migratori irregolari dentro un quadro di intervento europeo sullo sviluppo economico di un paese di provenienza dei migranti».
Le uniche sinistre che hanno ancora basi solide in Europa, dalla Danimarca al Portogallo (e oggi sulla questione dell’immigrazione anche la Spd si sta avvicinando alle loro posizioni), le hanno anche perché praticano una politica estera realistica. Ma per essere “realisti” ci vuole senso della storia, comprensione degli equilibri internazionali, capacità di trovare una sintesi tra principi e possibilità concrete di azione. Insomma ci vuole un cultura politica. Ed Elly Schlein e cultura politica sono un ossimoro.
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