Per giustizia. Solo e soltanto giustizia

Di Luca Del Pozzo
01 Maggio 2021
Resta intatta la necessità non solo di ripensare sul serio gli anni di piombo, ma anche e soprattutto la necessità di fare realmente giustizia
Omicidio Moro, il corpo di un agente di scorta a terra

La cattura momentanea (sono già stati tutti rilasciati per essere posti in libertà vigilata) in Francia di sette ex terroristi rossi (altri due si sono costituiti giovedì) ha rialzato il sipario su quella tragica stagione della storia italiana comunemente nota come anni di piombo. Né può essere altrimenti, tali e tante sono le questioni ancora irrisolte. Una di queste riguarda, appunto, il tema della giustizia nei confronti delle vittime del terrorismo.

Chi scrive è dell’idea che uno stato, a maggior ragione se “di diritto”, debba non solo alle vittime del terrore ma anche ai loro familiari un “di più” in termini di giustizia. Debba cioè fare uno sforzo ulteriore per assicurare alla giustizia chi ha ucciso persone innocenti.

Dottrina Mitterand

Da questo punto di vista l’atteggiamento della Francia, della Francia che annunciò urbi et orbi parole come libertè, egalitè e fraternitè (occhio sulla seconda) – mi riferisco ovviamente alla cosiddetta “dottrina Mitterand” – non mi ha mai convinto e anzi mi ha sempre lasciato alquanto perplesso. E questo con buona pace di chi, come Adriano Sofri, è arrivato a sostenere, nientemeno che la succitata dottrina “ha realizzato il fine più ambizioso e solenne che la giustizia persegua: il ripudio sincero della violenza da parte dei suoi autori, e così, con la loro restituzione civile, la sicurezza della comunità”. Motivo per cui, chiosa Sofri, “La Francia repubblicana è riuscita dove il carcere fallisce metodicamente”. Ogni commento mi sembra superfluo.

Mi limito sommessamente a segnalare al già leader di Lotta Continua (il quale, sia detto en passant, non ha mancato di ribadire la propria innocenza) che a proposito della succitata “dottrina Mitterand” quell’anima pia di Oreste Scalzone ha fornito una lettura un pelino diversa: “Non c’è mai stata una dottrina Mitterand che proteggeva gli esuli” – ha detto il già leader di Autonomia Operaia. “Era solo la scelta politica di chi aveva capito che se ci fosse stata anche solo una estradizione, i cinquecento o mille che erano a Parigi sarebbero andati ad ingrossare le fila di gruppi armati, non avendo altra scelta”.

Per giustizia. Solo e soltanto giustizia.

Insomma, pura tattica all’insegna del do ut des: copertura dei terroristi stranieri in cambio di pace a casa propria. Ma tant’è. Nel frattempo vi mettete d’accordo, a Sofri che alla notizia dell’arresto se n’è uscito con un “Bravi! E ora che ve ne fate?” (dei terroristi, ndr), mi sentirei di rispondere dicendo semplicemente “Ce li teniamo. E chi deve andare in galera lo mettiamo in galera”. E non per vendetta, come pure qualcuno si è affrettato a dire col sopracciglio inarcato e il ditino puntato, no. Ma per giustizia. Solo e soltanto giustizia.

Errori di gioventù

E pazienza se anche stavolta, come già all’epoca per Cesare Battisti (vale la pena ricordare che c’era chi andava in giro dicendo senza pudore che il pluriomicida Battisti “è sotto la nostra tutela”, come se l’ex terrorista avesse persino bisogno di protezione), ci toccherà sopportare l’ennesimo affronto da parte dei soliti intellò o sedicenti tali, che dalle colonne del quotidiano Liberatiòn si sono sentiti in dovere di rivolgere nientemeno che un appello al Presidente Macron affinché “rispetti l’impegno della Francia nei confronti degli esuli italiani”, trascurando il non banale dettaglio che trattasi di latitanti e non di esuli; per tacere dell’atteggiamento di certa intellighenzia da bar dello sport che in nome di una lettura a dir poco strabica e ideologica della storia recente ha prima osato paragonare le gesta dei terroristi ai partigiani per poi farne quasi dei martiri laici, povere vittime di uno Stato giustizialista e vendicativo che non sa perdonare gli errori di gioventù di qualche signore ormai maturo che magari pensava/pensa ancora di essere nel giusto nonostante quella follia rivoluzionaria sia miseramente fallita.

Cosa disse Violante

Tutti i cattivi maestri di ieri e di oggi farebbero bene a rileggersi l’intervista di Luciano Violante (non esattamente uno di destra) al Corriere della Sera, laddove egli ricorda una verità tanto semplice quanto spesso e volentieri trascurata: “le sentenze vanno eseguite; questo non esclude nei tempi dovuti l’avvio di un processo di riconciliazione con le vittime e con l’intera società civile. Nel silenzio se ne sono già avviati molti. Ma prima è giusto che vadano in carcere”.

Stesso concetto espresso anni fa, sempre sul Corriere, quando dopo aver stigmatizzato l’osceno spettacolo per cui “C’è una parte della tradizione francese, un certo bovarismo, secondo la quale tutto ciò che appare frutto della libertà e dell’antagonismo va giustificato. Non è così. E se avessero vinto i terroristi non so se avrebbero avuto lo stesso tipo di atteggiamento nei nostri confronti”, aggiunse senza mezzi termini: “Non ho mai derogato al principio per cui chi spara su un cittadino inerme, con o senza l’alibi dell’ideologia, va punito senza equivoci”.

Un sussulto di dignità

Ora con Macron, per i motivi che siano, la musica pare cambiata, anche grazie all’operato del governo Draghi. Meno male. Resta tuttavia intatta la necessità non solo di ripensare sul serio quegli anni e di riscriverli possibilmente secondo verità, ma anche e soprattutto la necessità di fare realmente giustizia, come conditio sine qua non per chiudere davvero i conti con quel passato. Altro che amnistia, come pure qualche intellò cosiddetto ancora vagheggia. Per i tanti latitanti tuttora all’estero delle due l’una: o il governo italiano si attiva per una revisione dei trattati che regolano l’estradizione affinché anche costoro, ex terroristi rossi o neri poco importa, vengano arrestati; oppure la soluzione si chiama Wiesenthal. Qualcuno cioè che, esattamente come fece Simon Wiesenthal nei confronti dei gerarchi nazisti, cerchi, stani vada a prendere e riportare a casa gli ex terroristi. Né ricordo che qualcuno ebbe da ridire.

Capisco che il paragone potrà sembrare irriverente, ma per quanto mi riguarda non vedo alcuna differenza, anzi se possibile è peggio nel primo caso, tra chi uccide civili inermi in tempo di pace e chi uccide in tempo di guerra. Avessimo un sussulto di dignità, sarebbe forse il modo migliore, anche a quattro o cinque decenni di distanza, per onorare per chi c’era e oggi non c’è più, e per chi è rimasto e ancora non si rassegna. Giustizia, non vendetta.  

Foto Ansa

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