
Per i morti che muoiono nella terra d’Ucraina

STONATURA DUE
Cessate d’uccidere i morti –
era il luglio dell’anno quarantatré
del secolo ventesimo,
quando le bombe alleate caddero
sui morti del cimitero del Verano –
Cessate d’uccidere i morti.
Come una supplica,
come un comando,
come un appello,
nuovamente si leva ora
il canto di Ungaretti,
per i morti che muoiono
nella terra d’Ucraina,
dall’una e dall’altra parte:
gli assenti, i dimenticati,
gli inascoltati del gran parlare
che si fa, qui, nel sinedrio
del nostro clamore,
del clamore di noi
sordi all’impercettibile sussurro
dei morti, al loro monito,
alla loro profezia.
Non gridate più, non gridate
Se li volete ancora udire
Se sperate di non perire.
Ma sono poche le voci
che si accordano
all’eloquenza dolorosa
che nessuno vuole sentire;
e sono accolte con la fasulla deferenza
dello scherno, con il compatimento
che si riserva agli ingenui.
“Che cosa dovrà mai dire il Pontefice,
insieme ai pochi che lo seguono?
È il suo dovere, è il suo mestiere”.
Con il tono di quelli che la sanno lunga,
di quelli che hanno capito
e fanno i furbi, lo liquidano così:
“Ogni pace che non venga da noi
è una chimera, un sogno infantile
soltanto”. E così, con le loro paci
da uomini adulti e istruiti,
con le paci del loro povero potere,
presuntuoso, vanaglorioso e folle,
riempiono di guerra il mondo
e gli animi.
Ma la Pace supplicata dai poveri
non è un fantasma.
Non è assenza, ma Presenza.
Il Volto davanti al quale
tutti, o quasi tutti,
distolgono lo sguardo
è qui, Presente e Vivo.
Il grande Intruso,
l’inascoltato che ascolta,
il ripudiato che ama,
il nemico che fa sorgere amicizia.
Tutto il grande carrozzone della Storia
si volge a lui come alla sua Pace:
la gente verace,
(i semplici, i poveri,
quelli che non fanno i furbi)
venuta prima tra ’l grifone
– Cristo –
ed esso,
al carro,
(alla Chiesa, a questa profezia
del destino dell’umanità)
volse sé come a sua pace.
I poveri ne hanno intelligenza
e con infaticabile speranza
fanno umano il deserto dei sapienti.
Questi ultimi lo impareranno
al culmine della loro sconfitta.
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