
Perchè il triciclo traballa
Bello è il triciclo, uno in tre e tre in uno, bella l’idea di aver abbandonato come simboli della sinistra gli oggetti della botanica per le creazioni della meccanica, ma è difficile designare le posizioni del triciclo e gerarchizzarne i componenti. La memoria minore del pullman del ’96 che fece del Prodi viandante il Prodi presidente. Ma il triciclo sta lì, «bello come un’arma nuda», ma è vuoto, nessuno dei leader rappresentativi del triciclo vuole correre su di esso la sfida delle europee. L’unico che è disposto a farlo sembra Massimo D’Alema, ma il presidente dei Ds è in esilio nel suo stesso partito, è considerato una riserva, ma non un leader. Egli segnala con la sua candidatura il messaggio che il triciclo potrebbe essere non un nuovo Ulivo, ma la matrice di un partito riformista, in cui però sembra credere soltanto Boselli. L’operazione triciclo è gestita dall’agente in Italia del presidente Prodi, Arturo Parisi, ed è concepito nella forma di un ex voto, il simbolo di una grazia da ricevere, quella della discesa dall’alto del deus ex machina il candidato Prodi.
Prodi vuole dividere e associare come diverse le due componenti della sua maggioranza: una amata, offerta da Rifondazione, massimalisti, Verdi, Comunisti italiani, ochettiani e dipietrini, l’altra, malamata composta dai residui dei partiti della prima Repubblica.
Prodi è un antipolitico e detesta i suoi alleati di sinistra, socialisti e comunisti perché esponenti della storia della politica. Ha bisogno tuttavia dei loro voti e della loro politica, il “triciclo” così è divenuto come un piccolo harem in cui includere tutti coloro che sono chiamati ad essere il volto di destra di un governo diretto da un uomo di sinistra, il dossettiano Prodi, contro la memoria dei partiti. è per questa ragione che gli uomini di partito non prendono posto sul triciclo. Essi sarebbero costretti a fare, per conto di Prodi, la guerra ai massimalisti che Prodi ama: dovrebbero combattere non con la Casa delle Libertà ma con i massimalisti di sinistra, e Prodi sarebbe arbitro in mezzo a loro, temperando uno scivolo a destra con una gambata a sinistra.
D’Alema non ha niente da perdere, egli può solo sperare che Prodi fallisca, il destino di Prodi si scontra con il suo. Il governo Prodi è come il governo Zapatero, un governo nichilista e massimalista, che contraddice l’eredità postcomunista. La speranza dei postcomunisti dovrebbe essere la bruciatura di Prodi, dello Zapatero italiano e trovare un’altra strada, più di sinistra e meno nichilista.
Tra le voci ricorrenti delle candidature tricicliche, vi è anche quella di Ciriaco De Mita, legata al fatto che egli non può sopportare il semiesilio in cui è relegato ed è quindi tentato di mettere in moto le sue clientele irpine per un seggio europeo. De Mita è stato tante volte eletto, ma ciò non ha significato altro che egli è un ras del suo elettorato, che è un capo clientela senza figura politica.
Il Partito Popolare è stato assorbito dalla Margherita e l’orgoglio di Ciriaco non poteva sopportare sfida maggiore. Se egli si candiderà, sarà per sottolineare il sentimento della sua emarginazione e la volontà di reagirvi. Caso diverso da D’Alema: questi rappresenta una memoria che ancora esiste, la sinistra postcomunista ha ancora un residuo di vita. L’ex segretario della Dc è soltanto un caso irpino, la Dc è veramente ben morta.
bagetbozzo@ragionpolitica.it
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