
Perché non credo al Veltroni “nordico”
Walter Veltroni, ha scritto sul Corriere della Sera Francesco Giavazzi, prima di iniziare la sua nuova avventura dovrebbe farsi un bel giro tra le centinaia di piccole e medie imprese del Nord che hanno messo il turbo, in questi anni, ricollocandosi con nuove tecnologie in posizione più elevata nella catena del valore, così spingendo prepotentemente il fenomeno che ci sta salvando nell’export mondiale, dove da 15 anni a questa parte perdiamo quote in termini di volumi percentuali, ma negli ultimi 5-6 anni abbiamo preso a salire nelle graduatorie del valore per unità esportata. Personalmente sono d’accordo con Giavazzi quando indica il segmento d’impresa che andrebbe premiato politicamente. Ciò significherebbe inevitabilmente assai meno imposte e contributi, e contratti da decidere in azienda invece che a livello nazionale, con un fortissimo incentivo di defiscalizzazione di almeno 20 punti percentuali di retribuzione, destinati a incentivare la produttività dei lavoratori, in maniera tale però che “restino” più corposamente del salario “legale” nelle tasche di chi davvero lavora. Tutte politiche sulle quali il centrosinistra, per come lo abbiamo visto all’opera in questi anni, non è assolutamente d’accordo.
Detto questo, però, non condivido l’apertura dell’editorialista del Corriere verso Veltroni come se questi fosse davvero un politico “nuovo”, alle prese con un’avventura senza precedenti nella sua carriera: come se non lo conoscessimo da decenni, e non lo avessimo visto sul ponte di comando dei Ds, o a Palazzo Chigi come vicepremier. Per carità, magari ora Veltroni esce improvvisamente da decenni di onesta dissimulazione, secondo la formula barocca e un tantinello gesuitica del secentista Torquato Accetto. Ma pensare che davvero scommetterà su merito, produttività ed efficienza significa mettere in conto rotture radicali non con Rifondazione e Fiom, bensì con la logica stessa che impronta tutta la politica economica della sinistra che abbiamo visto in azione dalla metà del 2006 a oggi.
Per il Nord, quella politica sarebbe l’unica via per consentire al Partito democratico una ripresa di consensi davvero maggioritaria. Ma per confermare una simile svolta da parte di Veltroni non basta traghettare come figura di riferimento nel Pd lombardo un giovane, preparato e serio segretario locale dei Ds. In tutto il processo costituente del Pd i Chiamparino, i Penati, i Cacciari e gli Illy sono stati lasciati ostentatamente in panchina. Proprio perché su materie come le dismissioni pubbliche e l’apertura al privato e al privato sociale, oppure sulla sicurezza, questi ultimi hanno preso da anni a parlare una lingua diversa dal mantra professato dal centrosinistra a Roma. Per quanto mi riguarda, dunque, il Veltroni “nordico”ed efficientista è una promessa alla quale non credo affatto. È il disastro che si abbatte su Malpensa per sostenere decenni di scelte insensate a favore del carrozzone pubblico e romanocentrico di Alitalia, a dare la vera misura di quanto questo centrosinistra resti lontano dalle ragioni di una politica mirata a integrare il Nord in quella parte più efficiente di Europa alla quale appartiene a pieno titolo, ma solo statisticamente, per reddito prodotto e pro capite. Perché concretamente, grazie alla politica romana, il Nord paga i sovraccosti fiscali, contributivi e infrastrutturali di una folle politica assistenziale a favore di aree del paese che non ne hanno alcun beneficio reale. Magari sbaglio – e Dio solo sa quanto vorrei sbagliarmi – sulle scelte future di Veltroni. Ma l’assistenzialismo statalista ha in lui un discepolo non pentito.
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