PERCHé SILVIO SE NE VA DALL’IRAK

Che cosa ha voluto fare Berlusconi indicando a “Porta a Porta” una data possibile, e persino vicina, il settembre 2005, per l’inizio del ritiro delle truppe italiane dal territorio iracheno? La spiegazione più ovvia è un segnale all’elettorato italiano: la missione non ha tempi infiniti, non è una presenza stabile quella dell’Italia in Irak. Certamente l’opinione pubblica è stata colpita dal fuoco amico che ha ucciso Nicola Calipari e una certa offesa verso il comportamento degli americani, in quella circostanza, è nella natura delle cose. Occorreva, anche per l’elettorato della CdL, sottolineare una differenza: indicare che il governo italiano si pone in termini ravvicinati il compito di costruire una strategia di uscita dall’impegno italiano in Irak. E l’uscita di Berlusconi ha certamente imbarazzato la sinistra, che ha scelto la linea più estrema di opposizione al rifinanziamento delle truppe. Essa intende accusare il governo di essere un servo degli americani, incapace di elaborare una politica estera autonoma, che opera le sue scelte unicamente per assicurarsi una relazione speciale con il presidente americano.
Berlusconi ha voluto dimostrare che la strategia di uscita dalla guerra irachena è una preoccupazione autonoma del governo italiano. Berlusconi si è affrettato a chiarire che l’indicazione di settembre non era la previsione di un atto unilaterale. Il ritiro ha per condizione la capacità della polizia irachena di controllare il territorio e può essere decisa solo in accordo con gli alleati. Il fatto di aver reso noto che quella indicazione era già stata preceduta da un’intesa con Tony Blair indica che gli alleati europei degli Stati Uniti hanno intenzione di far sentire che una strategia di uscita deve divenire in modo più chiaro una politica comune della coalizione dei volonterosi.
Ma l’intervento di Berlusconi ha avuto anche l’effetto di obbligare sia il presidente americano sia il primo ministro britannico a chiarire l’importanza determinante che ha l’impegno italiano nel momento in cui numerosi partecipanti alla coalizione dei volontari, a cominciare dalla Polonia impegnata, diversamente dall’italia, direttamente nell’intervento bellico, hanno deciso di ritirare le loro truppe. In questo momento per gli Usa e per la Gran Bretagna la presenza italiana, anche se a titolo di peace keeping e non di peace enforcing, è divenuta ancora più preziosa, tanto da obbligarli a ribadire la rilevanza dell’intervento italiano e a rassicurare le proprie opinioni pubbliche che Berlusconi non intende mollare gli alleati in mezzo al guado. Il presidente del Consiglio ha preso più piccioni con una sola fava.
bagetbozzo@ragionpolitica.it

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