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Nota previa. Nostro fratello Luigino Amicone ha voluto, desiderato, imposto con la sua ineffabile e violenta cortesia che almeno un molokano, figlio come lui di don Giussani, scrivesse dal suo esilio in Armenia, tra le principesse guizzanti del lago di Sevan, della storia di quei cristiani perseguitati fino al genocidio, ciò che non subì alcun altro popolo amante di Gesù, precedendo in questa gara tremenda Israele. Luigino era proprio innamorato di quelle croci di pietra (khachkar) che buttano sangue e acqua come quelle dei cattolici d’Occidente, ma imprevedibilmente anche fiori. Sono le croci armene, fiorite come anticipo di resurrezione. Continuo in sua memoria. Sperando di essere come quei santi russi di Dostoevskij e Tolstoj, che suonano la campana all’ora sbagliata, ma quel suono dice comunque la verità, anche se fuori tempo.
Pensavo che la rubrica intitolata a questo mio piccolo resto di russi eretici e bevitori di latte – costretti...
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