Perfino Draghi è infastidito dal panico dei suoi orfanelli

I leader del Pd e di Azione Enrico Letta e Carlo Calenda ospiti domenica scorsa 4 settembre del Forum Ambrosetti a Cernobbio (foto Ansa)

Su Affaritaliani si scrive: «“Il disagio di Draghi sfiora anche chi, come Enrico Letta, immagini un suo ruolo istituzionale dopo il 25 settembre, indispensabile per garantire la credibilità dell’Italia. Il premier non è intenzionato a essere ‘la guida occulta’ di questo o quell’altro leader”, svela il Corsera».

Il panico dei vari Calenda e Lettini di non avere più un commissario che, governando dall’alto, eviti loro il duro compito di guidare la nazione rappresentando gli elettori, secondo il quotidiano di via Solferino, infastidisce sempre di più persino Mario Draghi, che voleva una base sicura cioè il Quirinale per esercitare un suo ruolo di rappresentante dell’Italia in alcuni ambienti decisivi, e che attenderà di poter interloquire con una vera maggioranza politica, per esercitare un suo possibile prezioso impegno in campo internazionale.

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Su Huffington Post Italia Luca Bianco scrive: «Medico cardiologo dirigente del locale ospedale, è stato prima di tutto calciatore professionista. Ex giocatore di Serie B con il Pescara negli anni Novanta, molto legato al suo territorio, Coletta ha contribuito in maniera decisiva alla rifondazione del Latina Calcio nel 2007 dopo il fallimento della società precedente. Un impegno che lo ha reso personaggio di spicco in città, capace di riunire intorno al proprio attivismo cittadini di tutti gli orientamenti politici».

Il mitico Enrico Lettino ha commentato il voto di Latina dicendo che quando votano gli elettori in carne e ossa, la sinistra può vincere anche in un feudo di Fratelli d’Italia. Non fa male Huffington Post Italia a fargli notare che nella città laziale ha vinto un candidato civico, carismatico e capace di unire elettori di orientamenti diversi: insomma l’esatto contrario del prefetto francese (rivelatosi poi un ispettore Clouseau) che Emmanuel Macron ha regalato al Pd.

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Su Fanpage Luigi Di Maio dice: «Io vedo una forza politica, il partito di Conte, perché di quello che ho fondato io e da cui me ne sono andato non c’è più niente, in cui c’è il caos, è un tutti contro tutti».

Il nostro Talleyrand alle vongole è sempre ridicolo, raggiunge però performance insuperabili quando rivendica la sua coerenza.

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Su Dagospia si registra questa frase di Dario Franceschini: «Dobbiamo difendere il reddito dall’assalto della destra che vuole cancellarlo».

Mentre lo sperduto Lettino ribadisce “mai più con i 5 stelle”, il vispo ministro della Cultura si prepara con questa frase sul reddito di cittadinanza a riprendere il dialogo (che ha una sua forte radice in quella parte del mondo cattolico attirata da un peronismo genuinamente populista cioè argentino, dal fare sponda prodianamente affaristica a Pechino, e dal proseguire un giustizialismo guidato dall’idea che il sospetto sia l’anticamera della verità) con Giuseppe Conte, unendosi così a Francesco Boccia e Michele Emiliano (entrambi coordinati con Massimo D’Alema), a Gaetano Manfredi sindaco di Napoli, alla Cgil (che si tirerà dietro Andrea Orlando), cioè a una parte consistente innanzi tutto di ex comunisti – come è di moda oggi guidati da ex dc – che si preparano a una svolta melenchonista (ma senza la qualità francese) post 25 settembre. E poi ci si stupisce che gli americani, a cominciare da Hillary Clinton, si buttano sulla Meloni.

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