
In piazza per un ideale: il reddito
Chi qui scrive, ormai mesi fa, ha invitato i cattolici ad andare in piazza, per ribadire e difendere la persona e la famiglia, valori scolpiti nel diritto naturale che è fondamento della civiltà e pre-esiste a qualunque ordinamento pubblico, e di conseguenza alle pretese regolatorie, espoliatorie e manipolatorie che in nome dello Stato etico il legislatore finisce per voler esercitare. Non ho cambiato idea. Capisco chi, come Antonio Socci, si chiede se sia davvero il mestiere dei cattolici quello di andare in piazza rischiando un’antipatica “conta” con le folle oceaniche alle quali ci hanno abituato i sindacati. Capisco anche Rosy Bindi, che ha invitato i ministri di Prodi a disertare il Family day, sostenendo che è una pura iniziativa contro il governo, un regalo a Berlusconi. Personalmente, però, non la penso così. Credo che persona e famiglia abbiano invece una straordinaria occasione non solo per difendere le proprie identità fondative naturali, ma per chiedere alla politica italiana, di sinistra, di destra o di centro, una svolta.
La settimana scorsa il premier, Romano Prodi, ha affermato che il quoziente fiscale familiare non serve, perché non aiuta chi ha meno reddito disponibile. Per capirci al volo: il quoziente familiare individua la possibilità che tutti i redditi dei componenti del nucleo confluiscano in un unico montante, sul quale applicare una aliquota unica parametrata non solo al totale (cosa che in un sistema di aliquote fortemente progressive, come il nostro, farebbe alzare l’imposta) ma anche al carico familiare complessivo, con alte deduzioni (non le detrazioni tanto care al governo) determinate dalla numerosità dei componenti. Ebbene, Prodi sostiene che il quoziente non “ridistribuisce” socialmente, ma la sua tesi è vera solo perché si pensa di attuare il quoziente in un sistema d’imposizione individuale fortemente progressivo come il nostro, e per di più con imposte diverse che gravano sui redditi diversi, con il reddito da lavoro distinto da quello da attività finanziarie, imposte aggiuntive sulle proprietà immobiliari e via proseguendo. Invece negli Stati Uniti, dove il modello permette a tutti i redditi da cespiti diversi di convergere nell’unica base imponibile familiare, tutto è semplificato, l’aliquota è armonizzata verso il basso, il gettito cresce, lo sviluppo economico aumenta in ragione dei minori disincentivi a lavorare e risparmiare di più. Mentre in Italia pensare alle sole detrazioni d’imposta (che hanno effetti regressivi quando scattano le addizionali locali) serve solo a rendere la pressione fiscale francamente opprimente per chi ha solo reddito dipendente e magari una casa di proprietà, sulla quale l’attuale governo non abbasserà l’Ici (anzi, ha consentito ai Comuni di accrescerla).
In Germania, nel 1990, la Corte di Karlsruhe, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, affermò un principio essenziale: il cosiddetto Familienexistenzminimum, secondo il quale lo Stato non può esercitare alcuna pretesa che intacchi un livello di reddito disponibile necessario non alla mera sopravvivenza, ma al pieno esplicarsi delle aspirazioni di tutti i componenti di una famiglia. C’è bisogno di una rivoluzione simile anche da noi. E stupisce che tanti cattolici preferiscano dividersi tra Berlusconi e Prodi, invece di pensare al principio.
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!