
Piccole e micro imprese: «Il governo dà con una mano e toglie con l’altra»
Gli studi di settore penalizzano le piccole e micro imprese. Lo afferma Walter Mariani, presidente dell’Unione Artigiani di Monza e Brianza, secondo il quale «i parametri di quest’anno, anche dopo l’adozione di tutti i correttivi anti-crisi previsti, aumentano i ricavi minimi soggetti a tassazione di una percentuale media che va dall’8 al 10% a parità di dati di riferimento con lo scorso anno. È uno scandalo». Gli studi di settore sono uno strumento che il Fisco utilizza per rilevare i parametri fondamentali di liberi professionisti, lavoratori autonomi e imprese. La parte principale consiste nella raccolta sistematica dei dati che caratterizzano l’attività e il contesto economico in cui opera l’impresa, allo scopo di valutare la sua capacità reale di produrre reddito. Questi dati sono impiegati per l’accertamento induttivo degli esercenti arti e professioni e imprese.
Ora le regole sono cambiate: con il nuovo regime dei minimi il reddito imponibile derivante dal percepimento e dall’incasso dei ricavi è soggetto a una tassazione sostitutiva Irpef. Con conseguenze pesanti. Secondo Mariani «i piccoli imprenditori si troveranno, in un periodo di grande crisi, a versare Iva mai incassata e a pagare tasse su ricavi che lo scorso anno non hanno avuto». L’aumento è particolarmente sensibile per le imprese di servizi (idraulici, elettricisti, edili, acconciatori, estetisti, installatori) rispetto a quelle di produzione. L’ufficio fiscale dell’Unione artigiani ha applicato a titolo esemplificativo, su un campione casuale di aziende, costi e ricavi del 2010 ai nuovi studi di settore e li ha confrontati con le dichiarazioni dei redditi dello scorso anno. Per un idraulico, per esempio, a fronte di un ricavo di 41.000 euro annui, l’anno scorso gli studi di settore prevedevano un ricavo minimo di 56.900 euro che con i correttivi anti-crisi diventavano 48.550 euro. Quest’anno (a parità di dati) sarebbero 55.900. Questo significa che dovrà pagare circa 2620 euro di Iva contro i 1.400 del 2011, e tasse su ricavi per 15.500 euro in più contro gli 8.250 del 2011.
E nel caso di un barbiere? A fronte di un ricavo dichiarato di 52.000 euro, il ricavo minimo da congruità sale da 75.600 a 76.200. Tolti i correttivi anti-crisi, un barbiere dovrà versare 5.100 euro di Iva e tasse su un maggiore ricavo di 25.500 euro. A fronte di un ricavo di circa 18 mila euro, invece, il ricavo minimo da congruità sale da 25.500 a 31.550. Fatti tutti i correttivi, dovrà pagare 2.900 euro di Iva (contro i 1.660 dello scorso anno) e tasse su un maggior ricavo che sale da 8.330 a 14.550. Per un carrozziere, invece, a fronte di un ricavo dichiarato di 422.416 euro, il ricavo minimo da congruità passa da 476.700 a circa 485.000. Dopo tutti i correttivi il carrozziere vedrà il suo ricavo presunto aumentare dai 35.760 del 2010 a 67.000. Con 13.400 euro di Iva “presunta” contro i 7.100 dello scorso anno.
Il problema è anche di tempistica: «I modelli degli studi di settore dovrebbero essere definiti e comunicati addirittura nel dicembre dell’anno precedente rispetto alla denuncia dei redditi». I correttivi anti-crisi sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale solo il 16 giugno. «Un impegno che continua a non essere rispettato e i nostri artigiani continuano a rendersi conto di trovarsi pesanti adeguamenti a pochissimi giorni dalla scadenza dei pagamenti». Il decreto Sviluppo varato dal Consiglio dei ministri certamente rappresenta un primo passo verso una politica di rilancio delle attività produttive: agevolazioni fiscali per i lavori di ristrutturazione e di riqualificazione energetica, semplificazioni in materia di autorizzazioni e pareri per l’esercizio dell’attività edilizia, ripristino dell’Iva per le cessioni e le locazioni di nuove costruzioni. Ma non basta. «Non si può dare con una mano e togliere con l’altra. In questo modo sulle piccole e micro imprese continueranno a gravare nuove forme di imposta che le mettono continuamente a rischio. Ecco perché chiediamo nuovi interventi che riducano la pressione fiscale e sostengano gli investimenti. L’artigianato brianzolo, come gran parte delle attività economiche del Paese, è stato duramente colpito dalla crisi. Per questo crediamo che questi meccanismi di presunzione fiscale, che abbiamo sempre ritenuto non corretti e inopportuni, non facciano altro che penalizzare uno dei settori che comunque ha cercato di reagire a questi tre anni difficilissimi». E i parametri? «Già negli anni scorsi – conclude il presidente dell’Unione artigiani – oltre il 40% delle imprese artigiane è risultato sotto i parametri e solo una impresa su tre si è adeguata. Le altre hanno scelto di rischiare l’indagine fiscale perché non la temono, sono sicure di poter dimostrare le loro ragioni. Se l’obiettivo degli studi di settore è quello di scovare l’evasione fiscale, c’è qualcosa che non va nel meccanismo e nello strumento adottato».
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