Piccoli, Mica Imbelli

Di Oscar Giannino
16 Novembre 2006
Lo sapete perché non investiamo nel mercato finanziario? Perché non ci fidiamo di banche e grandi imprese. E facciamo bene

La legge finanziaria marcia tra continue correzioni. Financo il premier Prodi, nella sua recente intervista a L’Express, ha dovuto ammettere per la prima volta che non è colpa sua se «non si vuole tagliare la spesa pubblica». Dopodiché ha aggiunto che, così stando le cose, dovendo assolutamente contenere il deficit pubblico 2007 entro il 3 per cento del Pil contrattato con Bruxelles, è un falso che egli abbia puntato sull’effetto prioritario di tante imposte in più. «È sulla crescita in più che punto», ha detto, «e se non ci sarà avrò perso la scommessa». Ora la domanda è: ma se si punta alla crescita aggiuntiva, ha avuto senso accanirsi contro la piccola impresa, autonomi, commercianti, e professionisti, come gli italiani ritengono di aver capito se si dà retta ai sondaggi? Vediamola da un altro punto di vista. Ci avete fatto caso come a mesi alterni Sole 24 Ore e Corriere della Sera dedichino editoriali, analisi e addirittura manifesti ad hoc alla piccola e media impresa? Il quotidiano di Confindustria lo ha fatto a cavallo del varo della Finanziaria, via Solferino la settimana scorsa. Ma la loro attenzione è dovuta e di prammatica, visto che il 97 per cento dell’impresa italiana è fatta da piccole e medie aziende? Oppure, nei loro commenti di punta sulla politica economica del governo, è stata un’attenzione vera, è davvero stata un’attenzione vera, quella riservata alla piccola impresa e al popolo degli autonomi? È fin troppo facile indicare la risposta: è la prima.
A ben vedere, è una della ragioni della crisi italiana, ma insieme spiega la sfiducia diffusa nel paese. Per averne conferma, aiuta una ricerca elaborata dai professori Luigi Guiso e Luigi Zingales della Graduate Schoool of Business della Università di Chicago, con Paola Sapienza della Kellog School of Management della Northwestern. Il titolo è Il ruolo del capitale sociale nello sviluppo finanziario. Se ne traggono conclusioni interessanti, per spiegare il bassissimo tasso di partecipazione italiana al mercato finanziario, e l’anomalia tutta tricolore della sfiducia verso il mercato al variare del reddito e degli stock patrimoniali disponibili.

Diffidenza motivata
È evidente come la convinzione che sul mercato finanziario vi sia un’elevata possibilità di essere frodati abbassi la propensione a investire in titoli finanziari. E, naturalmente, un basso tasso di fiducia amplia anche i costi effettivi di partecipazione. Nella media dei paesi Ocse scrutinati dai tre ricercatori, l’innalzamento percepito di un 3 per cento di probabilità di essere frodati comporta un innalzamento pari a cinque volte della soglia di ricchezza oltre la quale l’investitore decide di partecipare al mercato. Ma il fattore pesa in maniera differente a seconda dei diversi contesti nazionali. È per questa ragione ad esempio che anche in mercati affidabili gli immigrati provenienti da paesi meno “giusti” tendono a mantenere nel tempo comportamenti verso il mercato finanziario propri dei rispettivi paesi d’origine. In Olanda, al contrario, la maggior fiducia verso condizioni eque del mercato riesce a spiegare anche innalzamenti del 50 per cento della probabilità per i risparmiatori di investire in titoli azionari.
In altri paesi, e soprattutto in Italia, l’effetto è assai diverso. In primis perché la fiducia non può essere considerata da sola un indice dell’avversione alle perdite. In seconda battuta – come conferma lo specifico capitolo dedicato dai tre ricercatori all’Italia, sulla base di un’indagine compiuta su 1.800 clienti di una primaria banca italiana – perché più che la sfiducia verso il mercato finanziario in generale, le sue regole e i suoi regolatori, da noi risulta invece decisiva la sfiducia che in particolare si appunta sui protagonisti dell’intermediazione finanziaria – il che significa, nel caso italiano, le grandi banche. In più, in Italia non vale la regola che si constata sugli altri mercati occidentali, in cui la fiducia è correlata al reddito.

Chi più ha, meno rischia
Negli Stati Uniti, un paese in cui il 26 per cento degli individui partecipa direttamente al mercato finanziario e il 54 per cento indirettamente tramite fondi mutualistici o fondi pensione, la sfiducia verso il mercato nel decìle superiore di ricchezza della società è solo di mezzo punto inferiore a quello della media complessiva degli individui, perché il giudizio sulla standard etici è ampiamente condiviso quando al mercato partecipano in così tanti. In Francia, in cui il tasso di partecipazione indiretta al mercato finanziario è del 26 per cento, nel decìle di maggior ricchezza la sfiducia verso il mercato finanziario si riduce a meno della metà, rispetto al 53 per cento della media tra tutti i francesi. In Svezia, il cui il tasso di partecipazione al mercato è addirittura del 66 per cento, nel 10 per cento di redditi più elevati la sfiducia verso il mercato è solo pari al 22 per cento, rispetto al 46 della media nazionale. Al contrario in Italia, dove il tasso di partecipazione indiretta al mercato finanziario resta bassissimo (confinato all’8,2 per cento) l’evidenza paradossale è che il tasso di sfiducia verso il mercato finanziario non scende ma sale al crescere del reddito e del patrimonio: rispetto a una media complessiva di sfiducia pari al 49,9 per cento, nel 30 per cento di redditi italiani più alti la diffidenza sale al 54, e nel 10 per cento dei redditi più alti s’impenna addirittura al 67,5.
L’Italia – proprio perché abbiamo la più alta percentuale di lavoratori autonomi e oltre 6 milioni di imprese al 97 per cento piccole e medie – è il paese dell’Occidente in cui la bassa partecipazione al mercato finanziario si spiega in definitiva proprio per l’elevata sfiducia verso le imprese medio-grandi. E tale sfiducia cresce al crescere del reddito e dell’istruzione degli italiani. Perché sono proprio i più ricchi e i più colti a conoscerle meglio, per così dire. Sono proprio quelle imprese che sono azioniste di controllo del Sole e del Corriere, guarda caso.

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